In Evidenza Jack Devecchi: “La stagione del Triplete è stata indescrivibile”

Jack Devecchi: “La stagione del Triplete è stata indescrivibile”

Qual è il primo ricordo che hai della sera del 26 giugno 2015? La sera in cui la Dinamo Sassari vinse lo scudetto: l'ex cestista biancoblù ci parla delle grandi emozioni della sua carriera

Crediti foto: Dinamo Sassari

Qual è il primo ricordo che hai della sera del 26 giugno 2015? Quella sera, la Sardegna tornò sul trono d’Italia in uno sport di squadra. La Dinamo Sassari vinse infatti lo scudetto in gara 7 contro Reggio Emilia, in un finale palpitante. Pochi giorni fa la società sassarese ne ha approfittato per ricordare quel successo, riportando nell’isola molti dei protagonisti in campo.

Quella sera in tanti si sintonizzarono davanti alla tv. La gara finale venne vista da oltre 854 mila persone, facendo registrare un nuovo record di ascolti nella storia del campionato di basket su Rai Sport. Sassari si riempì di caroselli, bandiere, clacson, euforia. Da ogni lato dell’isola arrivarono complimenti e felicità.

Giacomo “Jack” Devecchi fu tra gli artefici di quella magica cavalcata. Le marcature, l’intensità difensiva, le triple letali, e le consistenti letture tattiche lo hanno reso uno dei cestisti più amati della storia della Dinamo Sassari. Di cui oggi è direttore generale e volto credibile di un club che per la nuova stagione intende rilanciare le sue quotazioni nel panorama della pallacanestro italiana.

26 giugno 2015: qual è il primo ricordo di quella sera?

Il primo ricordo, la prima fotografia è il tiro di Drake Diener allo scadere. Ero in panchina, in linea tra lui e il canestro. Ho questo flash della palla che lascia le sue mani e vedo che è fuori traiettoria. Lì esplode una gioia immensa.

Alcuni tifosi dicono che la Dinamo nel 2015 avesse vinto quello scudetto contro tutto e tutti. Come accadde al Cagliari nel 1970. La Dinamo del Triplete ha fatto qualcosa di sorprendente per l’Italia intera?

Assolutamente si. Non eravamo favoriti, non avevamo fatto un percorso netto nella stagione. Avevamo avuto molti up&down. C’erano state molte problematiche. Durante i playoff stessi. Quindi quando arrivi a vincere lo scudetto hai proprio la sensazione di aver fatto qualcosa di straordinario. È stato inaspettato, ma anche molto più sentito.

La Dinamo è anche andata vicinissima a vincere un altro scudetto nel 2019. Hai qualche rimpianto?

La stagione del 2019 è stata una bella montagna russa. Avevamo fatto una seconda parte di stagione importante, inanellando una serie impressionante di vittorie consecutive (oltre venti). Abbiamo vinto molto bene in semifinale con Milano. Poi in finale con Venezia il rimpianto c’è perché avevamo dimostrato di poter battere chiunque in quella stagione. Quella gara 7 ci aveva lasciato l’amaro in bocca.

1 scudetto, 2 coppe Italia, due supercoppe italiane, una Fiba Europe Cup: a quale successo sei più legato e perché?

Sicuramente lo scudetto. Alla fine è stata una stagione magica. La coppa europea ha il suo valore. Ma la stagione è del triplete è stata una emozione indescrivibile. Sono cresciuto vedendo i campioni vincere il campionato italiano, poi quando arrivi lì e lo vinci tu, è qualcosa di unico e forte che ancora mi fa battere il cuore.

Hai giocato 17 stagioni in maglia Dinamo. Non è così scontato durare così tanto in una sola squadra. Cosa ti ha spinto a rimanere così tanto a Sassari?

Ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto. Quando crescevo io, cestisticamente parlando, cresceva anche il progetto. L’asticella si alzava sempre di più. Dopo tanti anni il rapporto col club è diventato sempre più intenso. Ho deciso di sposarmi con la Dinamo e di rimanere con la società più a lungo possibile. Dopo una decina d’anni in maglia biancoblu non mi vedevo più con un’altra casacca.

Un anno da dirigente: quali sono i pro e i contro del nuovo ruolo?

Era più facile fare il giocatore (ride, nda)… Quella del direttore generale è una bella sfida. Metto in pratica ciò che ho studiato prima di appendere le scarpette al chiodo. Mi ha preparato al salto. Porto in dote la mia visione e la conoscenza del campo da basket.

Sei stato soprannominato il Ministro della Difesa. Eppure le tue triple erano spesso letali. Pensi che il soprannome abbia ridotto il modo di guardare a te come giocatore completo?

No, non credo. Anzi, è una etichetta che mi piaceva avere addosso. Mi ha sempre dato molta soddisfazione limitare gli avversari o recuperare il pallone. Mi dava adrenalina. Ho avuto la fortuna di giocare contro grandissimi campioni sia nel campionato italiano che in Europa. Quando ti trovi di fronte campioni come nelle partite contro il Cska e il Real Madrid, rubare palla o limitare alcuni dei grandi è davvero unico.

In una recente intervista hai detto che dal ritiro non avevi più toccato una palla da basket. È ancora così?

Confermo. Non ne ho più toccata una. Da un lato mi sorprende. Dall’altro, se non sento il bisogno vuol dire che ho dato tutto da giocatore. Questo mi rasserena.

Bonus.
Le preferenze di Jack Devecchi
:

Un libro – “Open” di Andre Agassi
Un film – “Space Jam”
Una canzone o un artista – Muse
Un piatto – Risotto alla milanese

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