Tutti se lo ricordano per la straordinaria interpretazione nel film “Into the wild” (2007), dove veste i panni di Christopher McCandless detto Alex Supertramp. Emile Hirsh all’epoca aveva appena 22 anni e pochi film alle spalle, ma un regista d’eccezione come Sean Penn lo scelse tra tantissimi per raccontare una storia realmente accaduta nell’America del capitalismo sfrenato che già agli inizi dei duemila mostrava il suo volto peggiore.
Il pluripremiato attore hollywoodiano è stato protagonista dell’ultima giornata della sesta edizione del Filming Italy Sardegna, tenutasi domenica 25 giugno al Forte Village di Santa Margherita di Pula.
Si parte proprio dal film che lo ha fatto conoscere al pubblico del grande schermo e il suo rapporto con Sean Penn, con il quale ha lavorato anche nel film “Milk” di Gus Van Sant. “Ho visto Sean qualche mese fa – racconta l’attore statunitense -. Sono stato a casa sua, mi ha fatto davvero piacere incontrarlo. Stava lavorando a un documentario, con un mio carissimo amico produttore. La sua assistente Sato, che conosco ormai da diciotto anni, è arrivata con una bistecca enorme e l’ha subito messa sulla griglia dicendo che era per me. È sempre molto bello ritrovare Sean. Ogni volta che ci vediamo, ci divertiamo, un po’ come succede con gli amici con i quali hai vissuto un’avventura straordinaria, un viaggio epico. Non abbiamo mai più parlato di Into the Wild, perché è stata un’esperienza forte, toccante, ma ci è rimasta una familiarità che viene sempre fuori quando ci incontriamo”.
Del resto, il film è stato un successo a livello internazionale per i temi estremamente attuali che affronta. “Credo che una delle ragioni per cui il film è piaciuto tanto – dice Hirsh – e continua a incantare le persone è il fatto che a ispirare Chris McCandless è stato il desiderio di allontanarsi da una serie di pressioni sociali che rischiavano di schiacciarlo. Molti si riconoscono in questo e vorrebbero poter fare la scelta che ha fatto lui. Credo che sia un impulso molto naturale per una persona sensibile e intelligente, e penso che Chris abbia vissuto una versione alternativa della sua vita e che la sua storia, il libro che la racconta e il film siano la conseguenza diretta di quel cambiamento radicale. È difficile giudicare il suo percorso – continua l’attore – e il suo nuovo modo di vivere, perché alla fine ha preso delle decisioni che lo hanno portato alla morte. La natura, che non guarda in faccia a nessuno, in questo ha giocato un ruolo molto importante. Eppure le sue intenzioni erano buone, desiderava semplicemente vivere con più autoconsapevolezza”.
Cosa lo accomuna con il protagonista del film? “Credo la voglia di superare i propri limiti – risponde Hirsh -. Come attore mi sento più felice e soddisfatto quando il rischio che corro è grande. È un bel po’ che lavoro, ho recitato in parecchi film, quindi cerco di ascoltare il mio istinto. Se mi propongono un film e non so come interpretare il ruolo che mi offrono, e se il mio istinto mi porta in una direzione folle, assurda, allora mi butto. A volte ti rendi conto che interpretare un personaggio in un certo modo è rischioso – continua l’attore -, perché non puoi pretendere che il pubblico capisca immediatamente quello che hai cercato di fare, anche un’espressione o un gesto che appaiono fuori contesto o troppo in disaccordo con il ritratto iniziale del personaggio possono deludere e confondere lo spettatore, che potrebbe pensare ‘ma questi sono matti!’. Quindi non solo devi accettare di correre un rischio, ma devi anche avere la forza interiore di continuare quello che stai facendo. Devi sentire un forte desiderio di andare sulla pista da ballo e metterti a ballare – dice ancora Hirsh -. Magari la gente che ti guarda scoppia a ridere, ma è importante che tu abbia la convinzione che, quando tutto sarà finito e il film sarà girato e montato, il tuo ballo avrà un aspetto bellissimo”.
Tra i suoi grandi miti, confessa Hirsh, c’è nientemeno che Marlon Brando. “Quando avevo 15 anni, il fidanzato di mia sorella mi fece vedere un film con lui – racconta -. Poi mi invitò a sedermi e mi disse: ‘Questo è un attore strepitoso, si chiama Marlon Brando, dovresti vedere i suoi film. Guarda quanta verità ha dentro, guarda come fa bene questa scena’. Non so dire esattamente perché Brando mi piaccia. Di certo aveva qualcosa di molto vitale, di spontaneo, qualcosa che lo rendeva diverso da tanti altri attori del suo tempo. Ha cambiato il modo di recitare dell’epoca, che era molto piatto, a volte cantilenante. Ho letto un libro su di lui – continua Hirsh – e ho capito che era un uomo molto interessante, schietto, che si è battuto per alcune nobili cause. Mi piace anche per alcune caratteristiche che hanno poco a che vedere con il suo essere attore. Ad esempio aveva una biblioteca enorme, non era uno che aveva fatto a malapena le scuole superiori. Aveva una cultura e ne capiva l’importanza. Io ho fatto a malapena il liceo, ma sono uno di quelli che pensano che nella vita si debba continuare sempre a imparare, ad essere curiosi della vita. Ecco, la curiosità è una dote che mi affascina molto”.
Caratteristica che ha avuto modo di riscontrare anche in un personaggio come Quentin Tarantino, con il quale ha lavorato per il film “C’era una volta…a Hollywood” (2019) interpretando Jay Sebring, una delle vittime degli omicidi della famiglia Manson. “Adoro Quentin Tarantino. Quando ero ragazzo, impazzivo per i suoi film. È stato uno dei primi registi che ho conosciuto a Hollywood – racconta Hirsh -. Avevo 14 anni ed ero stato invitato all’anteprima del film Il miglio verde, ed ero seduto al tavolo insieme a una ragazza che frequentava la mia stessa scuola. Credo che Quentin conoscesse la madre, perché si è avvicinato a noi per salutarla, e anche io l’ho salutato e gli ho detto che adoravo Le iene. Così mi ha chiesto quale fosse il mio ‘cane da rapina’ preferito [reservoir dog in inglese, ndr.], ma lo ha detto così veloce che io capito solo ‘cane’ e ho risposto ‘il dalmata’. E lui mi dice divertito ‘no, no, no, intendevo cane da rapina’. A quel punto ci ho pensato un po’ e poi ho detto ‘Mr. Blonde’. È stato un momento davvero divertente!”.
“In ogni modo – continua Hirsh – penso che Tarantino sia uno dei più grandi registi cinematografici di sempre. È stato fantastico poter lavorare con lui, anche se in un ruolo secondario. La cosa più bella dell’esperienza di C’era una volta… a Hollywood è che apparivo in molte scene, e quindi ho avuto l’opportunità di osservare Quentin a lungo. In sei mesi ho lavorato per novanta giorni – racconta l’attore – così ho avuto modo di studiarlo, ho trascorso del tempo con lui e ho cercato di imparare qualcosa da lui. Ha un’energia fantastica. Mi ha spronato a fare meglio e mi ha messo sulla strada giusta”. Hirsh non era convintissimo della parte assegnatagli al contrario di Tarantino. “Ho commesso l’errore di guardare le interviste fatte al vero Jay Sebring – dice – che era completamente diverso dal personaggio che Quentin voleva farmi interpretare, ma io non potevo saperlo, quindi l’ho fatto come potevo. Quentin mi ha chiamato e mi ha detto ‘non va bene, questo non è un biopic, hai il permesso di renderlo molto più flamboyant’. Tutti volevano bene a Jay Sebring, che era davvero un tipo eccentrico e sopra le righe”.
Tra i registi italiani, invece, ricorda bene la sua esperienza con Sergio Castellitto, che lo diresse come co-protagonista insieme a Penelope Cruz nel film “Venuto al mondo” (2012), adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, nonché moglie del regista. “Li adoro – dice Hirsh – loro sono proprio quella che definiresti una famiglia di artisti, quando vengo in Italia passo sempre a trovarli e mi invitano sempre a pranzi, cene, parliamo a lungo di tantissime cose”. La pellicola, ambientata durante gli anni della guerra nell’ex Jugoslavia, è anche l’occasione per riproporre il tema del conflitto in Ucraina. “Credo che la guerra sia una cosa orribile, in qualsiasi parte del mondo avvenga – commenta l’attore – ed è anche un modo per ricordarci che questo istinto che ci spinge alla lotta probabilmente fa parte dell’essere umano. Le guerre esistono da millenni, e continueranno ad esserci se non riusciamo a cambiare questo carattere che da sempre ha contraddistinto la storia dell’uomo”.
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