In Evidenza Arturo Brachetti: “Il teatro è come l’amore: bisogna farlo dal vivo”

Arturo Brachetti: “Il teatro è come l’amore: bisogna farlo dal vivo”

Artista dai mille volti, rappresentazione del teatro più poetico e divertente, Brachetti racconta il suo rapporto col pubblico e con la Sardegna

Stupore, divertimento, emozioni: con Arturo Brachetti a teatro è un po’ come tornare bambini, o anche rimanerci. Coltivando la meraviglia della vita. Per una sera. E tante altre, che si sommano.

Brachetti è “l’uomo dai mille volti”, che apre le porte della sua casa in cui ognuna delle stanze racconta un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della vita quotidiana prendono vita. Conducendo gli spettatori in mondi straordinari dove il solo limite è la fantasia.

Dopo tanti anni di carriera, com’è portare in scena ancora una volta un one man show?

Quando uno capisce che il suo senso della vita è quello, che la tua vocazione è quella, già si è fortunati di aver capito di avere una missione nella vita. La porterò avanti finché avrò energia. Un one man show è la cosa per cui sono nato. È già meraviglioso sapere di avere una missione. Quando ero in seminario a 15 anni, il prete che mi ha insegnato i giochi di prestigio mi disse: l’importante è avere una vocazione. Se la tua è quella di far sognare, perserguila. Io l’ho fatto. Oggi sono ancora qui a fare il one man show. Tra l’altro, è uno spettacolo che sta girando da 9 anni, uno di quelli che ha funzionato. Sono ben contento.

Hai ancora la capacità di sorprenderti e di sorprendere col tuo spettacolo?

Certo. Sorprendermi sicuramente è molto più raro. Io vivo della sorpresa altrui. Anche a casa mia: abito a Torino, in una casa trasformata, con due passaggi segreti e la libreria che gira. Ho un sacco di sorprese. Quando faccio fare il giro della casa ad amici nuovi mi diverto della loro sorpresa. Anche durante lo spettacolo mi esalto della sorpresa che il pubblico riceve.

Uomo dai mille volti e tanti personaggi. Ma chi è oggi Arturo Brachetti?

Da un po’ di anni sono un Peter Pan di 15 anni imprigionato nel corpo di un uomo di 68. io sono Peter Pan: nello spettacolo volo. È il momento più piacevole di tutto lo spettacolo. Sento i piedi che si staccano dal palcoscenico, e salgo. Mi diverto molto. Dimenticandomi che ho un trucco che mi fa volare. Ma non è importante. L’importante è poter essere illusi da qualcosa. Quando mi chiedono se la magia esiste dico che sì, esiste. Perché l’uomo ha bisogno di magia. L’uomo si è inventato tante illusioni. La più grande del momento sono Facebook, Instagram, dove si mette in scena una realtà finta.

Chi è, invece, nello spettacolo, Arturo?

È un eterno Peter Pan. Che si diverte a imparare cose nuove. Come cantare. L’anno scorso tra one man show e cabaret ho fatto 250 spettacoli. Non ci sono tante persone in Italia che facciano tutte queste date. È il frutto della mia energia.

A proposito di teatro: nel periodo della pandemia c’era la paura che dopo ci sarebbero tornati in pochi. E invece la risposta è stata molto forte. Come te lo spieghi?

Il teatro è nato 50 mila anni fa, o forse prima. Da quando c’è un falò e un vecchio che racconta ai bambini e ai membri del villaggio la storia degli antenati. Questo rito quasi magico, con un falò che è la luce della ribalta della sera in un momento di calma. Dove si raccontano le grandi storie. La nostra necessità di stare insieme è nel nostro dna. Questo non scomparirà col Covid, anzi ci saranno sempre di più persone che crederanno a ciò che vedono. Il teatro è ciò che vedi. È live, è vero, è condiviso con le altre persone. Non morirà. Magari in futuro si chiamerà con un altro nome. Ma sarà sempre quello. Il teatro è come l’amore: bisogna farlo dal vivo.

Che rapporto hai coi social, invece?

I social fanno parte del nostro linguaggio. Ho i social e ho un gruppo di ragazzi che si occupano dei social. Non li seguo così tanto perché non ho molto tempo libero, tra viaggi e spettacoli. Per me è un mezzo di comunicazione come tanti altri. Pensa che io sono stato il primo attore ad avere un sito internet. Nel 1991. Quando nessuno sapeva cosa fosse internet. Ero stato avvicinato da due professori universitari che avevano il primo server di Torino e mi convinsero a farlo. Andai al Maurizio Costanzo Show a parlarne. Era un momento ottimistico.

Non capita molto spesso di vederti impegnato in alcune date in Sardegna. Che rapporto hai con l’isola?

L’ho scoperta a 16 anni quando mi han mandato a fare il portiere d’albergo in Costa Smeralda. Meraviglioso. Era un posto ancora molto selvaggio. Avevo amici sardi che mi portavano nell’entroterra, dove a colazione ci portavano i fichi d’india spellati. Una popolazione molto sospettosa come i piemontesi, siamo molto parenti. Quando aprono la porta però sono molto ospitali e affettuosi. Ho avuto famiglie con cui ho avuto un bel rapporto. Ci veniamo non tanto a lavorare, perché portare il mio spettacolo significa spostare due tir da 18 metri. Portare tutto ha un costo non indifferente. Sono però contento di venirci e scoprirla. Poi si mangia troppo in Sardegna: io sono a dieta, quindi figurati.

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