Nell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari dal 2011 è disponibile l’unica realtà pubblica a livello regionale che si occupa, in maniera specifica e integrata, della presa in carico delle persone con incongruenza di genere, che affrontano un percorso di affermazione.
Il servizio offre agli utenti della Sardegna, che ne fanno richiesta, un percorso diagnostico e di supporto psicologico e psichiatrico, oltre che endocrinologico e di indirizzamento all’opzione chirurgica.
A partire dal 2011 oltre 200 persone si sono rivolte al servizio, con un notevole incremento della richiesta negli ultimi anni. L’ambulatorio nasce dalla collaborazione tra la Struttura Complessa di Psichiatria, coordinata dalla professoressa Federica Pinna, e quella di Endocrinologia, in cui opera il dottor Alessandro Oppo.
“La disforia di genere è attualmente inquadrata come una diagnosi psichiatrica che si caratterizza per la presenza nell’individuo di una marcata e persistente sofferenza, in rapporto alla percezione di un mancato allineamento tra il sesso biologico e l’identità di genere, quindi il senso intimo, profondo e soggettivo col quale una persona si identifica (uomo, donna o genere alternativo)”.
“È importante sottolineare che il focus di questa diagnosi è sulla sofferenza dell’individuo e non su un’identità disturbata. Questa sofferenza porta queste persone a richiedere a uno dei Centri specializzati del territorio di avviare un percorso di affermazione al genere percepito” spiega la direttrice di Psichiatria del San Giovanni di Dio.
Il percorso parte da una valutazione clinica da parte di uno psichiatra. “Viene formulata una diagnosi, seguita da un supporto psicologico/psichiatrico – sottolinea il dottor Oppo – l’avvio di una terapia ormonale mascolinizzante/femminilizzante, dopo valutazione e indicazione dell’endocrinologo, e la richiesta al tribunale di un’autorizzazione al cambio anagrafico e agli interventi chirurgici di riassegnazione del genere”.
Si tratta di un fenomeno in crescita e in continua evoluzione che coinvolge e coinvolgerà un sempre maggior numero di persone e famiglie. In un recente progetto dell’Università di Firenze e dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha coinvolto 19.572 individui, il 7,7% delle persone intervistate ha dichiarato un’identità di genere differente dal genere assegnato alla nascita.
“È stato dimostrato che in queste persone – dichiara l’endocrinologo e andrologo dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari – l’esposizione maggiore e fin dalla più tenera età a discriminazioni, isolamento sociale, emarginazione e violenza, così come la mancanza di supporto familiare e sociale, rappresentano rilevanti fattori di rischio che espongono a più elevati tassi di disturbi mentali, di suicidio e di disturbi da uso di sostanze e alcol”.
Allo stesso modo le barriere che limitano l’accesso alle cure e la qualità delle cure, laddove le stesse discriminazioni subite a livello sociale includono, non di rado, anche i contesti di cura e gli operatori sanitari, rappresentano ulteriori fattori di rischio.
“Si rendono quindi necessari – sottolinea la professoressa Federica Pinna – interventi e iniziative volte a combattere lo stigma nella popolazione, a migliorare l’accesso ai servizi sanitari in generale e ai servizi di salute mentale, oltre che interventi educativi e formativi rivolti ai professionisti della salute. Vanno inoltre incentivati e potenziati alcuni fattori protettivi, tra cui il supporto da parte dei pari e da parte della famiglia”.
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