Lucia Chessa ha lanciato una sfida importante: provare, col soggetto politico Sardegna R-Esiste, a colpire l’attenzione dei sardi attorno a pochi temi ma essenziali. Una corsa in solitaria, in modalità complesse, fuori dallo schema classico delle coalizioni.

È una insegnante dal carattere combattivo. Sta approfittando di ogni momento libero dalla sua professione per incontrare cittadine e cittadini sardi. Garantendo a chi non si sente rappresentato dagli altri candidati di avere una voce, un progetto in cui credere.

Ai microfoni di Cagliaripad ha espresso sensazioni, emozioni, idee della sua candidatura.

Che tipo di campagna elettorale sta portando avanti?

Noi siamo un piccolo gruppo. Non abbiamo le risorse che sono necessarie per girare la Sardegna in lungo e in largo. Non abbiamo indennità che ci mettono al riparo dalla necessità di lavorare. Io sono una insegnante: non abbiamo diritto a ferie in periodo di attività didattica. Quindi sto facendo una campagna elettorale da candidata Presidente a mezzo servizio. Posso contare sui tre giorni di permesso retribuito che hanno gli insegnanti, più sei giorni di ferie a discrezione del dirigente e sui fine settimana. Per il resto la mattina vado a lavorare. Non voglio medaglie: anche questo attiene alla salute di una democrazia.

Come le sembra questa campagna elettorale?

La sto trovando entusiasmante. Sta dando la possibilità ad un gruppo realmente nuovo, rispetto ad altri che fanno finta di essere nuovi, di confrontarsi con questa politica che ha governato per decenni. Stiamo vedendo tutte le debolezze, tutte le criticità, tutta la mancanza di visione. Mi riferisco a tutte le forze in campo. Che si misura non tanto su quello che dicono ma sui risultati delle loro politiche. Sono sotto gli occhi di ogni sardo.

Questa è certamente la sua prima candidatura alla Presidenza ma non la sua prima campagna elettorale. Come è cambiata la politica negli anni?

L’elemento che maggiormente salta agli occhi è la crisi della politica. E più in generale la crisi dei sistemi democratici. Che ha una ricaduta su tante cose. Prima fra tutte una legge elettorale estremamente antidemocratica che pesa su tutti i sardi. E di cui molti non sono consapevoli. Vorrei che i sardi assumano questa consapevolezza. E sappiano che, nel momento in cui vanno a votare, il loro voto viene preso e accartocciato, cestinato. Esce un consiglio regionale che non ha niente a che vedere con le scelte che hanno fatto. Grazie ad una legge elettorale adottata nel 2013 con il centrosinistra e il centrodestra uniti, in modo da blindarsi nel consiglio regionale, facendo fuori ogni pensiero alternativo che non accettasse di piegarsi a loro portatori d’acqua. E i sardi dovrebbero chiedere conto a tutti quelli che l’hanno votata, perché questi signori denotano un vero e proprio analfabetismo democratico che li rende inadatti a tornare in consiglio regionale. Questa è una carognata.

Come vede la Sardegna attuale?

Devastata. Ogni sardo la vede devastata. Di povertà, di assenza di diritti fondamentali. Penso alle cure, alla possibilità di trovare un medico. Piegata da tagli continui nella scuola, nella sanità. La vedo impossibilitata ad aprirsi all’esterno con l’esercizio basilare della mobilità. La nostra scelta di essere presenti a questa competizione elettorale anche in una condizione di svantaggio deriva anche dalla necessità di chiedere conto a chi ha generato questo risultato delle scelte che ha operato in passato. Mi sono resa conto che chiunque abbia o abbia avuto ruoli di governo avesse accennato un minimo di autocritica, di assunzione di responsabilità. Sembriamo tutti nati un attimo fa. Riteniamo offensivo questo genere di comunicazione. Cerchiamo di richiamare il principio di responsabilità. I problemi che sta incontrando la Sardegna non passano da soli. Sono frutto di scelte sulle quali bisognerebbe rispondere. Infatti io richiamo gli elettori sardi a fare uno sforzo, a mettere in relazione la loro condizione con quello che è stato fatto.

Quali sono i punti fondamentali del programma che state portando in giro per la Sardegna?

Uno è chiaro: la necessità di cambiare la legge elettorale. L’altro riguarda un aspetto che ho visto non essere affatto presente e né richiamato in nessuno dei programmi: la questione della legalità. Questa assenza sembra inverosimile. Non è un discorso a parte: parlo di regole, corruzione, comportamenti. Sono cose che impattano sull’economia, sui servizi. È inverosimile che chi fa una proposta elettorale bypassi questo tema. Ignorando che siamo una regione dove il computer del presidente Solinas è stato rubato il giorno prima che potesse essere sequestrato. Un presidente che si trova in questa condizione doveva dimettersi il giorno dopo. Non glielo ha chiesto nessuno, neanche l’opposizione. Anche a causa di un sistema elettorale per cui se va a casa il presidente, va a casa anche il consiglio. Questa è una anomalia. Poi ci sono problemi nella sanità; nella scuola; dove abbiamo il tasso di dispersione tra i più alti d’Italia; problema di tutela del territorio, con gli assalti dei “signori del vento”.

Siamo al 26 febbraio, lei diventa presidente della Sardegna. Quale sarebbe il primo atto politico che porterebbe all’attenzione del consiglio regionale?

Almeno due. Un piano energetico che definisca quanta energia dobbiamo produrre per il nostro consumo da qui a dieci anni. Quanta ne vogliamo produrre per esportarla. Quanta per chiedere al sistema imprenditoriale nazionale di venire qui in Sardegna ad utilizzarla con investimenti improntati alla sostenibilità e alla produzione. Un piano che lasci la possibilità alle famiglie e alle imprese di sfruttare la ricchezza del sole e del vento per generare ricchezza diffusa. Così da diventare autoproduttori e autoconsumatori dell’energia. Questo vuol dire sovranità energetica. E poi la sovranità alimentare: un intervento nell’ambito dell’agricoltura di questa terra, che sfrutta in maniera minima le proprie potenzialità. Un intervento che tuteli le nostre tradizioni e le nostre vocazioni agricole. Che sono soprattutto delle piccole imprese contadine che vanno supportate e che costituiscono il tessuto economico e sociale della Sardegna.

Qual è la cosa più bella che si porta dietro di questa campagna elettorale?

Devo essere sincera: tante cose. Ci è voluto grande coraggio e generosità per produrre una lista come questa. Mi porto dietro tanto affetto, che una proposta politica così generosa suscita tra le persone. E che si traduce in disponibilità a collaborare, a dare una mano, a dare supporto. E tutto ciò consapevoli che non avremo una risposta immediata, ma raccoglieremo nel lungo periodo. Sto incontrando amici, tante persone: penso che questo rimarrà anche dopo. Non solo per me. Ho un sogno: che Sardegna R-Esiste sopravviva a queste elezioni e finalmente si possa proporre come l’alternativa reale. E che possa convincere tanti sardi che esiste un modo diverso di intendere la politica, di governare, di fare cittadinanza.

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