“La condizione delle donne nel mercato del lavoro è ancora oggi caratterizzata da maggiori difficoltà di ingresso e da una debolezza strutturale che riserva loro più instabilità lavorativa rispetto agli uomini”. A sottolinearlo è la Cgil Sardegna sulla base dell’analisi dei dati regionali sull’occupazione femminile compiuta dal Centro studi della Confederazione: “Si tratta di disuguaglianze che pesano e vanno rimosse – ha detto il segretario Fausto Durante – realizzando politiche attive rivolte alla specificità del lavoro femminile e, contemporaneamente, riformando il sistema del welfare, dei servizi per l’infanzia e per la famiglia, oltre agli ammortizzatori sociali per venire incontro alla diversa condizione delle donne nell’economia e nella società italiana. A ciò bisogna aggiungere interventi specifici volti a garantire la continuità nella contribuzione previdenziale che, per le donne, è particolarmente difficile da conseguire. In questo senso il governo nazionale e quello regionale sono chiamati a una assunzione diretta di responsabilità”.
Nonostante l’andamento del mercato del lavoro anche in Sardegna sia migliorato a partire dal 2021, si confermano le differenze di genere: il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,3%, appena 1,2 punti percentuali in più rispetto al 2020, mentre per gli uomini il dato è cresciuto del 2,4%, con un tasso di oltre il 14% superiore a quello femminile (60,7). In questo quadro sono ancora più svantaggiate le giovani donne tra i 15 e i 34 anni, il cui tasso di occupazione scende al 32,1% a fronte del 41,8% maschile.
Una situazione confermata anche dal rapporto Anpal sulle elaborazioni relative ai primi 9 mesi del 2022: a fronte di oltre 160 mila posizioni lavorative medie maschili, quelle delle donne sono poco più di 100 mila. I dati Inps sui nuovi contratti certificano che alla fine del terzo trimestre del 2022 le nuove opportunità di lavoro per le donne sono state meno di quelle offerte agli uomini e persino più precarie. Su 177 mila 114 nuove assunzioni, 75 mila 925 (42,8%) hanno riguardato le donne, su cui pesano i contratti stagionali, in somministrazione e intermittenti per il 47,5 per cento rispetto al 44,3 di quelli maschili.
Anche per quanto riguarda il part-time, si registra una netta differenza di genere: incide per il 54,07 per cento sul totale delle assunzioni femminili mentre scende al 30,06 in quelle maschili. Sui soli contratti a tempo indeterminato (19 mila 176 nuovi rapporti stabili da gennaio a settembre 2022) il part-time delle donne svetta al 66%. Nonostante la maggiore possibilità di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, sono diversi gli effetti negativi di un lavoro a orario ridotto: un minore reddito, maggior impiego in mansioni a bassa qualificazione e minori opportunità formative.
In Italia, inoltre, secondo Save the Children, il part-time non è una scelta volontaria per sei donne su dieci, quota che sale al 72% nelle giovani donne (15 e i 34 anni). A incidere sul dato del part-time e, più in generale, sull’occupazione, è la presenza di figli: è infatti evidente che in assenza di una rete di supporto alla genitorialità, chi ha meno reddito resta a casa e, fatalmente, si tratta quasi sempre delle donne.
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