(Foto credit: Lei Festival)

La prima richiesta quando sale sul palco è di alzare un po’ le luci in sala. “No è un problema mio, che voglio vedere le persone”, dice Paolo Crepet, noto psichiatra e sociologo, che nella serata di sabato scorso ha dialogato insieme ad Alice Capitanio, direttrice artistica del Lei Festival, attraverso spunti, provocazioni e richiami, sul futuro delle giovani generazioni e di chi le educa.

Il pubblico del Teatro Doglio, a Cagliari, lo segue attentamente. Aspetta, forse, delle risposte o giusto dei consigli sul come comportarsi coi propri figli in un’epoca che Papa Francesco ha definito una “catastrofe educativa”. Come suggerisce di muoversi, il professionista, in questa vita così incerta? “Ognuno faccia come gli pare”, spiazza tutti Crepet. E aggiunge: “Io detesto il termine fortuna, in generale quel che siamo è quel che abbiamo scelto di fare, con tutte le cadute, i dolori. È un pacchetto”.

Non esiste un metodo uguale per tutti, ogni storia è a sé, ma si può partire da un punto. “La pigrizia mentale è il più grande pericolo che corriamo. I bambini devono poter sognare. Se un bambino non conosce la tigre di Mompracem è un grosso problema perché è da questi romanzi qui che si sviluppa il senso di avventura e di curiosità del mondo”, dice lo psichiatra che per l’occasione ha presentato il suo ultimo libro “Lezioni di sogni” (Mondadori, 2022). Un mix di ricordi personali e pubbliche riflessioni, che Crepet mette a disposizione di genitori e figli. Al centro c’è il bisogno di ripensare l’educazione, la scuola, il rapporto tra le generazioni, il futuro.

Oggi presenta il suo ultimo libro “Lezioni di sogni”. Ma ci è ancora concesso di sognare?

Be è come se lei mi chiedesse se c’è ancora spazio per vivere. Penso di sì. Non so cosa pensano le vostre generazioni, ma mi auguro di sì. Non può rimanere il sogno una cosa romantica ottocentesca.

Perché ha sentito la necessità di scrivere questo libro, che è una sorta di manuale per giovani e adulti?

Credo che ci siano gli anni giusti per scrivere certe cose e altri anni in cui serve rimettere in ordine delle idee, dei ricordi. Ci sono tante cose nel libro. È un libro sì, ma è anche un blocco di appunti, fa parte della mia vita.

Di recente è intervenuto sul dibattito riguardo il merito a scuola. Ha fatto discutere il caso della giovane laureata in anticipo in Medicina, perché non tutti partiamo dalle stesse condizioni. Lei cosa ne pensa?

Penso che non andrei mai da un medico che si è laureato in cinque anni. Non capisco perché bisogna trasformare un piano di studi in una sorta di “gara delle farfalle”, non so se mi spiego. Credo che per certi percorsi sia necessario seguire il tempo stabilito. Io ho fatto Medicina e sono riuscito a laurearmi con un mese in anticipo, ma era giusto farla in quegli anni lì perché gli ultimi anni sono quelli delle cliniche. Non capisco cos’è ‘sta roba. Poi cosa si vince?

Ha anche affermato che “i bambini ci guardano e imparano da noi bellezza e viltà”. Stanno imparando più bellezza o viltà?

Ogni bambino e bambina ha un suo mondo che è quello rappresentato dal luogo dove si nasce, che non è solo la famiglia. La casa. Io scommetto che lei si ricorda un mobile della sua camera da letto da bambina. È anche un’educazione emotiva, perché quell’armadio, quella poltrona, quella coperta, fanno parte di tutta una serie di mattoncini per cui si crea un’esistenza. C’era una bravissima illustratrice inglese che aveva fatto una sorta di grande manifesto in cui si ricordava di tutte le case in cui era stata da bambina fino all’età adulta e per ogni casa faceva una specie di fiore con tanti petali, e ogni petalo era un mobile di quella casa. Era un’idea bellissima.

Il neo ministro all’istruzione Valditara vorrebbe vietare l’uso degli smartphone a scuola. Lei cosa ne pensa del fatto che ormai un bambino di dieci anni abbia già in mano un telefonino?

Be io toglierei quel “ormai”. Nel senso che l’ormai è una responsabilità. Questo ormai lo dichiara una generazione? Siamo sicuri? Io non lo userei, perché allora uno potrebbe dire anche ormai non bisogna più usare le penne, ormai non bisogna più guardare dalla finestra. Non credo che ci siano dei confini che vanno oltrepassati una volta per sempre. Il confine è una zona interessante proprio perché vai e torni, vai e torni. Io non mi farei guidare da Zuckerberg per l’infanzia del futuro. Sarei un uomo più complesso di lui, meno schematico, meno freddo. Mi dà l’idea di una persona molto poco empatica.

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