La sala è sold out già da una settimana. Una lunghissima fila attraversa via Logudoro, di fronte al Teatro Doglio, a Cagliari. Non sono ancora scoccate le otto di sera, ma il pubblico preme per entrare. Ci sono tutti, giovani e meno giovani, donne accompagnate da amiche, compagni e figli, studenti del liceo e universitari. Un grande traguardo per chi si occupa di filosofia da una vita, come Umberto Galimberti, ospite d’onore per la prima serata del Lei Festival, venerdì 9 dicembre, dove ha presentato “Il libro delle emozioni” (Feltrinelli, 2021).
“Mi hanno detto che a un certo punto comparirà un cartello per avvisarmi che mancano solo cinque minuti”, esordisce il professore. Ma alla fine, innamorato com’è della sua materia, sforerà di quindici, lasciando gli spettatori con tanti, tantissimi punti interrogativi stampati sul volto. D’altronde, la filosofia non si è mai messa in testa di dare delle risposte, ma di porre delle domande, quelle sì.
“Siamo realmente liberi di avere il telefonino?” chiede Galimberti al suo pubblico. “Anche io ne ho uno qui, in tasca, proprio adesso”. Un accessorio che non gli va troppo a genio, perché figlio dell’informatica, che “ha creato una apatia interiore perché ha determinato quella che viene chiamata ‘distanza’, che non è stata creata dal virus come si è detto”. I giovani sono le prime vittime, secondo il filosofo: “C’è una dipendenza dal cellulare per cui non tollerano più la distanza, se non arriva subito il messaggio incominciano ad andare in angoscia. Hanno poi una sorta di illusione di onnipotenza, perché con il cellulare puoi controllare gli amici e tutto il resto, e questo è pericoloso perché produce delle paranoie”. Resta da capire, allora, come si modificano le emozioni dentro di loro rispetto al vissuto naturale: “I giovani hanno modificato le loro emozioni nella modalità informatica, quindi bisogna vedere cosa rimane dentro di loro, senza più questo vissuto emotivo naturale”.
Difficile in una società, quella contemporanea, dove c’è un’esposizione costante delle emozioni in pubblico, soprattutto in tv e sui social, ma anche nel mercato, “che studia tutto quello che facciamo, con mi piace e non mi piace”. Il rischio è sotto gli occhi di tutti: “Questa non è una società tranquilla”, spiega il filosofo, “è una società piena d’angoscia, che ti dice che devi sempre essere all’altezza di quello che fai, e per farlo devi essere sempre informato quindi non puoi perdere neanche una mail, diventando schiavo di queste dimensioni”.
Una strada, però, c’è. È la letteratura che racconta e insegna il dolore in tutte le sue coniugazioni, l’amore, l’angoscia, la noia, la disperazione, il suicidio, il coraggio, la speranza. “La letteratura serve perché i sentimenti non li abbiamo per natura, li impariamo”, dice Galimberti. “I greci che sono il popolo più intelligente che sia mai esistito sulla faccia della Terra, avevano descritto negli dei dell’Olimpo tutte le emozioni”. Compito della scuola, allora, forgiare le nuove generazioni delle componenti affettive necessarie per stare al mondo. Ma “la scuola non educa, non lo ha mai fatto, al massimo istruisce”, dice il professore. “Servirebbe un corso di teatro per chi decide di diventare insegnante”.
Galimberti scende dal palco, lo aspetta il firma copie. Un’altra coda interminabile, tra autografi, selfie e tantissime strette di mano. È qui che il professore trova il tempo di rispondere alle ultime domande prima del volo di ritorno.
Questa sera ha parlato di emozioni, che ha definito come “una terra ancora in gran parte sconosciuta”. Eppure siamo costantemente “bombardati” da questo termine.
Le emozioni di solito si esprimono a cura delle persone che pensano poco, perché il pensiero è la preda delle emozioni. Sono anche più facili da provare proprio perché non devi pensare a niente e vengono da sole, ti mettono in uno stato di passività. Però le emozioni sono anche degli indicatori interessanti per conoscere i pericoli, provare la gioia, per capire che cos’è l’ira e così via. Allora bisogna essere abbastanza equilibrati, da un lato accoglierle e dall’altra parte contenerle.
A proposito di cambiamento climatico, ha detto che “siamo convinti che la Terra si salverà”. Non è così?
No, sono processi irreversibili, già accaduti. Un’infinità di specie animali e vegetali sono già estinte definitivamente e tra un po’ ci estingueremo anche noi, perché fino a prova contraria è solo qui che possiamo abitare.
Si è occupato anche di social, che se da una parte ci permettono di tenerci in contatto, dall’altra rischiano di farci perdere il contatto con la realtà. Esiste un compromesso?
Tanto per incominciare direi di fare una cosa ben precisa: quando uno ha una emozione, invece di ricorrere alla “faccina”, che sembra di essere tornati ai disegni rupestri dei primitivi, incominci a scrivere delle parole che magari è anche più difficile, ma le parole sono più conformi alle emozioni che proviamo. Non una “faccina” incaricata di dire quello che provi tu, ma scherziamo?
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