È l’ospite più atteso della serata conclusiva del Carbonia Film Festival, che si terrà domani alle 20 al Cine-Teatro Centrale. Lodo Guenzi, frontman de Lo Stato Sociale, chiuderà il programma di questa edizione con il reading musicale “Abbiamo vinto la guerra?”. Un ritorno sulla scena, dopo un secondo posto al 68° Festival di Sanremo con il brano “Una vita in vacanza”, la postazione da giudice di X Factor, la conduzione del concerto del primo maggio insieme ad Ambra Angiolini, e due anni di pandemia, che ha fermato bruscamente il settore degli spettacoli dal vivo.
Ma c’è più di una ragione che ha portato il cantautore bolognese nell’Isola: l’anniversario dei dieci anni dall’uscita dell’album consacrazione del gruppo, “Turisti della democrazia”, e dal concerto tenutosi proprio a Carbonia nel maggio 2012. Non solo, recentemente si è prestato al cinema nel film “Est – Dittatura last minute” diretto dal regista sardo Antonio Pisu, in cui si intrecciano le vite di chi, appena dopo la caduta del Muro di Berlino, vuole scappare dal proprio Paese, la Romania, e chi al contrario non vede l’ora di arrivarci. Una storia più che mai attuale, che fa quasi impressione a pensarci ora.
Ma il palcoscenico musicale è quel che più mancava a Lodo Guenzi, tra le voci simbolo della musica indie italiana. Così dopo la tappa all’Eurovision Song Contest, a Torino, volerà verso l’Isola per portare una riflessione sull’Italia sociale, culturale e musicale dell’ultimo decennio.
Nel film di Antonio Pisu interpreti un giovane ventenne che parte per un viaggio coi suoi amici nell’est Europa dove l’impronta sovietica è ancora dominante. Sembrerebbe girato oggi. Che impressione ti ha fatto?
È stato molto bello, è stato un viaggio vero. Quello è un film sul viaggio ma quel viaggio non è un film. Siamo stati nei quartieri più estremi di Bucarest, a Ferentari, dove arrivavamo con delle decine di migliaia di euro di telecamere e abbiamo fatto scoppiare gli ormoni di una serie di baby gang. E poi c’è stata la popolarità di Sanremo: è serpeggiato tra questi gruppi che io avevo fatto Sanremo e all’improvviso ci han voluto bene. Una grande esperienza.
Dall’album “Turisti della democrazia” e il tour “Tronisti della democrazia” è passato un po’ di tempo. Come descriveresti oggi la nostra classe politica?
In questo momento la nostra classe politica è tendenzialmente inesistente, sono persone alla rincorsa di un sentimento dell’istante, di una qualche emotività e diciamo posizioni favorevoli dal punto di vista dell’esposizione ma non esistono idee. Gli unici che hanno delle idee sono quelli di destra, il problema è che sono un po’ fasci. Siamo in una situazione paradossale, in cui la destra è l’unica parte politica, tra quelle che ci sono in Parlamento, che si occupa di politiche sociali. Tutto il resto è in un viaggio molto ristretto e molto woke, che ha a che fare con temi riguardanti più o meno l’identità, ma l’identità intesa come da dove provengo non è una cosa di sinistra. L’identità intesa come in che mondo voglio andare e con chi, quella è una cosa di sinistra. Ma per questo bisogna fare le politiche sociali. E bisogna occuparsi dei problemi dei poveri, di quelli che hanno pochi soldi. È interessante come le battaglie degli ultimi anni della sinistra siano sempre, o quasi sempre, partite e finite occupandosi delle persone ricche.
A Bologna, tua città natale, il sindaco Matteo Lepore è stato eletto anche grazie all’appoggio di ben cinque liste civiche. Come interpreti questo fatto?
Nelle realtà locali è abbastanza normale e non necessariamente insano che le liste civiche concorrano a ottenere il risultato. Non è una cosa intollerabile, anzi, che nel locale il lato amministrativo della questione politica sia in molti aspetti predominante rispetto a quello ideologico. Stiamo parlando di una città non enorme, come Bologna, con valori di sinistra sufficientemente radicati da non aver bisogno di essere ribaditi dal PD.
Domani sarai al Carbonia Film Festival, un progetto che vuole sostenere le realtà più periferiche della Sardegna, che oggi rischiano lo spopolamento. Secondo te questo tipo di eventi è destinato a soccombere o al contrario ci avviamo verso una rinascita dei festival locali, magari più indipendenti?
No è evidente che il futuro è proprio questo tipo di festival. Anzi, i festival più grossi rischiano di più nei prossimi anni. C’è bisogno di indipendenza e alternativa al mercato, nella discografia, nella musica dal vivo e nei festival in generale. Quindi sì il futuro è questo.
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