(Di Paolo Littarru)
E’ noto a tutti come fin dalle epoche più remote tutte le culture umane a tutte le latitudini abbiano prestato attenzione particolare ai fenomeni celesti per scopi di culto, di orientamento e con funzioni di calendario.
Dopo aver scoperto che il Sole e la Luna scandiscono i ritmi della vita, gli uomini elevarono questi astri al rango di divinità, insieme ai pianeti ed alle stelle.
La comprensione dei movimenti degli astri e la loro divinizzazione è certo che si siano verificate nelle popolazioni più arcaiche, nelle civiltà più lontane nel tempo.
L’archeoastronomia è la scienza che studia le relazioni tra le caratteristiche costruttive e dislocative dei monumenti antichi e gli eventi astronomici con cui le costruzioni furono messe in relazione.
Il primo astronomo che si dedicò allo studio dei monumenti antichi fu l’inglese Sir J.N. Lockyer.
La legittimazione dell’archeoastronomia nel nostro Paese è recentissima.
L’atto di nascita può essere fatto risalire al primo Convegno Internazionale del 1994, voluto da Sabatino Moscati, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, sul tema “Archeologia ed astronomia: esperienze e prospettive future”.
L’archeoastronomia, come sottolineava in quell’occasione Moscati, è lo studio della pratica e dell’uso dell’astronomia fra le antiche culture del mondo, basato su tutte le forme di evidenza, scritte e non scritte, riprendendo la definizione di Anthony Aveni.
In questa nuova disciplina è l’astronomia a prevalere sull’archeologia (viceversa si parlerebbe di astroarcheologia), con la conseguenza, a mio parere gravida di significato ed inferenza- che l’archeologia non può rimanere ancorata al solo filone storico ed artistico, ovvero alle scienze dell’uomo, ma deve aprirsi alle scienze della natura, alla fisica e alla matematica. All’astronomia dunque, che è la prima vera scienza (osservazione e deduzione).
L’irruzione della tematica astrale nella comprensione dei monumenti è davvero un fatto epocale, capace di aggiungere conoscenze e di far parlare con linguaggi più articolati le pietre dei monumenti.
Uno studio in questo campo, non recentissimo condotto dallo studioso di Isili Mauro Peppino Zedda e dall’équipe del Professor Giulio Magli del Politecnico di Milano, pubblicato sulla rivista internazionale Mediterranean Archaeology and Archaeometry, riguarda un monumento sardo antichissimo, certamente precedente di oltre 1000 anni anche i nuraghi più antichi: l’altare neolitico di Monte d’Accoddi a Porto Torres.
La rampa d’accesso distingue questo monumento dalla struttura delle piramidi egizie e rende questo monumento unico e in assoluto tra i più antichi nell’intera area mediterranea.
Solo la parte inferiore e la scala sono autentiche, mentre la parte superiore è stata interamente ricostruita.
La stratigrafia degli scavi ha evidenziato due fasi costruttive:
– un primo altare è stato costruito durante la fase finale della “cultura di Ozieri” (attorno al 3200 a.C.) ed era costituito da una piattaforma alta ca. 5 m su cui sorgeva un tempio rettangolare;
– il primo altare è stato successivamente incorporato (3200-2700 a.C., cultura di Abealzu Filigosa) in una costruzione più larga e più lunga con una rampa di ca. 40 m, il cui aspetto è probabilmente simile a quello attuale.
Il ritrovamento di statuette e offerte votive, renda praticamente certa la destinazione d’uso religiosa del monumento. Il monumento è attorniato da una pietra grezza sferoidale (un omphalos simile a quello di Delfi), una tavola probabilmente per sacrifici rituali e 3 menhir, uno dei quali (di seguito denominato F e non indicato nelle figure) a sud della rampa e gli altri, rispettivamente:
– “W bianco”, di cui, purtroppo è visibile oggi solo la sommità per via di un serbatoio idrico
– “R rosso” a sud est, come mostrato nelle figure.
Il monumento è stato oggetto di indagini archeoastronomiche nel 1991 e 1992 concentrate su possibili allineamenti tangenziali al monumento; i possibili allineamenti lunari individuati, oltre che molto imprecisi, sono decisamente improbabili per il fatto che il monumento è chiaramente concepito per rituali che avvenivano nella piattaforma superiore.
Non erano però mai stati tenuti in considerazione gli allineamenti tra il monumento e i 3 menhirs (pietre) circostanti e gli esiti delle recenti indagini archeaostronomiche sono incredibili e possono essere così riassunti (vedi anche figure):
– il centro del monumento e il menhir F, giacciono sulla linea N-S (azimuth 178° e 11’);
– l’arco di orizzonte di 8 ° individuato dai menhirs W e R dal centro della piattaforma traguarda le levate degli astri prossimi al solstizio invernale[1] (che cade esattamente a metà dell’arco); si tratta di un arco troppo stretto per traguardare i punti d’arresto lunare e troppo largo per la precisa determinazione del solstizio d’inverno;
– la declinazione[2] dal centro della terrazza superiore del monumento relativa al menhir più a sud dell’arco corrisponde a –27°08’ che coincide sorprendentemente con –(ε+ν) dove
ε è l’obliquità dell’eclittica[3]nel 3200 a.C. e ν è l’inclinazione dell’orbita di Venere sull’eclittica.
Il menhir R traguardava quindi sull’orizzonte il punto di arresto meridionale di Venere, il “Natale” venusiano, che si verifica ogni 8 anni ca. Primo esempio di questo tipo nell’area mediterranea.
– la declinazione –(ε-ν) potrebbe corrispondere a un “punto d’arresto” minore dello stesso pianeta, ma sarebbe molto più difficile da osservare e definire; più verosimilmente corrisponde perfettamente a quella della stella più brillante del cielo, Sirio nel 2800 a.C., il cui sorgere eliaco in quell’epoca coincideva grossomodo col solstizio estivo e veniva usato per scopi calendariali nello stesso periodo in Egitto.
– gli allineamenti tra gli spigoli NE e SO e i menhirs W e R coincidono con l’alba della luna ai lunistizi meridionali minori e maggiore; la significatività di questi ultimi allineamenti è supportata dal fatto che i 2 menhirs W e R sono disposti secondo il meridiano con la precisione di un grado.
Gli allineamenti relativi alla luna e a Sirio sono piuttosto frequenti anche in quell’epoca.
Vorrei sottolineare qualche ulteriore aspetto relativamente a Venere, la cui collimazione, ripeto, è al momento unica sicuramente nell’area Mediterranea e trova analogie forti nella cultura Maya (in particolare nel sito di Uxmal).
Venere, la dea dell’amore, l’amante del Sole, Inanna per i Sumeri, Ishtar per i Babilonesi, Afrodite per i Greci,
“Lo bel pianeta che ad amar conforta
facendo ridere l’oriente
velando i Pesci ch’erano in sua scorta”
(Purg. I, 19-21)
era certamente osservato e adorato in tempi antichissimi presso il Monte d’Accoddi.
[1] Il solstizio in astronomia è definito come il momento in cui il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto di declinazione minima; al solstizio, il suo punto di levata è il più meridionale di tutto l’anno;
[2] La declinazione è la coordinata celeste analoga alla latitudine terrestre, ovviamente proiettata sulla sfera celeste
[3] L’eclittica è l’intersezione della sfera celeste con il piano geometrico su cui giace l’orbita terrestre (piano eclittico, o piano dell’eclittica). È un cerchio massimo della sfera celeste