Hannah Arendt dice che il 1969 è stato l’anno più importante della storia umana: quello dello sbarco sulla Luna. Fissando lo sguardo nelle profondità dell’infinito e smarrendosi nel formicolio degli astri, anche sulla terra l’uomo superava molti confini. Il limite verticale e metafisico sublimava in un altro orizzontale e culturale e maturava un mondo nuovo, di cui la Luna era lo specchio: un luogo utopico, desiderato, sognato, giovane, in cui esplodeva come un razzo la creatività delle nuove arti applicate: in primo luogo del fumetto.
Nel 1969 nasceva a Nuoro Raffaele Pichereddu. Dotato di uno straordinario dono di natura – la capacità di fare ciò che vuole con una penna in mano – Pichereddu si iscrive all’Istituto d’arte Ciusa Romagna di Nuoro folgorato dalla scoperta del suo talento e delle riviste-cult di allora: Alter Alter, Linus, Cannibale, Il Male, Frigidaire, Corto Maltese, Satyricon e Comic art, e soprattutto dalle strisce di Jacovitti e Andrea Pazienda. Al Paz si ispirano le prime opere e al Paz si ispira per il nome d’arte, che da allora diventa Pik. A quattordici anni Pik è tra i fondatori di Su Raju, supplemento satirico di Libertade, organo del partito indipendentista nuorese.
“Per fare un fumetto bisogna partire da un segno distintivo, individuare un tratto, una peculiarità, un difetto, quella piccola imperfezione che rende unica una figura umana” dice Pik. Poi ci pensa lui: a nutrirla di un tratto dissacrante, condito del linguaggio simbolico che attinge al substrato della cultura popolare nuorese, quella della risata forte, del sarcasmo feroce, che viene della strada e delle provocazioni di una generazione ancora col pugno chiuso – siamo nel cuore della Barbagia rossa – ma è rimasta orfana di quel senso di appartenenza, umiliato dalle promesse mancate dei Piani di Rinascita. La Nuoro di quei giorni ha bisogno di raccontarsi, di vestirsi di nuovo, e Pik calza a pennello, e ne diventa la penna. Da allora racconta la nuoresitudine attraverso mille produzioni, ora sono le Grafiche editoriali – dove collabora per il Gruppo Vinci (che da Macomer lancia nell’Isola la sua catena di supermercati) – ora come libero professionista.
La produzione di Pik è ricca e trasversale: si va da Vibis, vocabolario sardo per bambini, ad Alice allo specchio, realizzato con la sorella Maria Grazia, che di mestriere fa la linguista, da Sa reina e sos Prinzipales, realizzato con Fatima Bechere, alla collaborazione con Manolo Cattari.
Pik usa il suo tratto come la stoccata di un balente, malinconico ma non rassegnato alle ingiustizie. Ultimamente si è preso perfino il lusso di sbeffeggiare – meglio: di prendere a pedate – la Regione Sardegna, appoggiando la sacrosanta protesta di Nursind e Opi Nuoro contro lo smantellamento dell’ospedale San Francesco di Nuoro.
Nel 2002 Raffaele Pichereddu vince un concorso dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico. Inizia come assistente tecnico scientifico, realizzando alcuni “falsi Isre” – opere che servono a testimoniare un momento storico pur non essendo autentiche e devono preservare dall’usura le originali. Ma ci vuole poco – uno sguardo attento, una persona sensibile come l’ex presidente dell’Istituto Bruno Murgia, che ne riconosce immediatamente il talento – e Pik diventa il grafico dell’Etnografico. E’ sua la mano del cartellone che campeggia in bella vista sulla SS 131, sua la grafica dei Convegni deleddiani nell’anno dei 150 dalla nascita della scrittrice.
Ultimo esemplare di una razza di uomini puri come bambini, Pik conserva una collezione sterminata di tavole, lavori, libri, fumetti. Una penna, cento volti diversi – lui che ama ritrarre gli altri non rientra in alcuna classificazione. Parafrasando Andrea Pazienza, ringraziamo che ci sia: lui è una moltitudine.
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