Lunedì 27 settembre alle 17, nell’Aula magna dell’Università di Sassari, si terrà una conferenza dal titolo “Emozioni criminali. Perché un uomo uccide una donna: aspetti pischiatrici e forensi”, che poi è il titolo del libro scritto dal docente universitario e presidente della Società italiana di Psichiatria forense Giancarlo Nivoli.
Il libro è stato scritto insieme alle figlie del docente e tratta, come si legge nella presentazione della conferenza sul sito dell’Università, “il tema attuale delle dinamiche psichiche e della prevenzione dell’omicidio di una donna da parte di un uomo, nelle sue varietà di omicidio psicologico ed omicidio reale”. E qui già sorge spontanea una domanda: è compito della donna “prevenire” l’omicidio da parte di un uomo?
Ma non solo, il titolo della conferenza riprende un linguaggio che ancora fatica ad essere superato, che vorrebbe romanticizzare l’atto stesso del femminicidio. Chi legge “emozioni criminali” sarà, anche inconsciamente, portato ad associare la violenza fisica e psicologica subita dalla donna alla sfera emotiva, quella dei sentimenti e delle passioni, motivando in qualche modo il gesto come una semplice reazione emotiva, appunto, di un innamorato. Una narrazione tossica, spesso utilizzata anche dai principali media nazionali, tv comprese.
L’intento del docente, si legge più avanti nella presentazione, è quello di “sottolineare la necessità scientifica di non psichiatrizzare in modo pregiudiziale ed errato i normali comportamenti e credenze umane facilitando una deresponsabilizzazione dell’aggressore e una criminalizzazione del soggetto affetto da un disturbo”. In sintesi, non confondiamoci: c’è chi non ha nessun disturbo psichico e deve quindi prendersi le sue barbare responsabilità, mentre per il secondo caso bisogna imparare a riconoscerlo. E ancora resta un dubbio: perché dovrebbe essere la donna a riconoscere il disturbo? Certo, per autodifesa, ma allora torniamo al punto di partenza: è sempre la donna a doversene preoccupare.
Ma ciò che ha fatto realmente infuriare è il fatto che, inizialmente, alla conferenza sul femminicidio avrebbero dovuto partecipare soltanto uomini. L’autore del libro, il rettore Gavino Mariotti, il sindaco Nanni Campus, il presidente del Tribunale di Sassari Massimo Zaniboni e il presidente dell’Ordine degli avvocati di Sassari Giuseppe Conti. Nessuna donna era prevista per trattare di un libro che si rivolge proprio alle donne.
Inevitabile la reazione indignata di tante di loro, che si sono sentite escluse da un dibattito che, al contrario, avrebbe dovuto coinvolgerle come protagoniste e non come voce fuori campo. In questo caso, sarebbero state un mero ologramma, un sentito dire tra una discussione tra uomini che, probabilmente, hanno pensato di poter serenamente parlare anche per loro.
L’ondata di protesta, scatenatasi sui social, ha fatto sì che al programma siano state apportate delle modifiche: oltre all’autore, quindi, si terrà anche l’intervento di Francesca Ruggiu, presidente delle Pari opportunità della Regione. Una su cinque, basta e avanza.
Di tutta risposta, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Sassari ha parlato di “polemica sterile, una tempesta in un bicchier d’acqua”. Dopotutto parliamo di un esperto della materia – e nessuno lo mette in dubbio – che presenta il suo lavoro scientifico, un saggio di psichiatria forense. Dello stesso avviso anche il presidente del Tribunale di Sassari: “Si parla della presentazione di un lavoro scientifico firmato oltretutto anche da due donne, le figlie del professor Nuvoli”. Ma il fatto che si tratti di un “lavoro scientifico”, esclude a priori la possibilità di invitare una donna, magari psichiatra, esperta in materia? Perché non è stata nemmeno presa in considerazione questa opzione? I più generosi diranno che conta il merito e non il genere. Certo, e perché non potrebbero invece contare entrambi?
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