“Quando i turisti visitano la Sardegna, di solito finiscono in un ristorante che serve il porceddu sardo, un maialino da latte arrostito lentamente, visitano i fornai che vendono il pane carasau, una tradizionale focaccia sottile come la carta, e incontrano i pastori che producono il fiore sardo, il formaggio pecorino dell’isola. Tuttavia se sei abbastanza avventuroso è possibile trovare il casu marzu. Non deve essere vista come una strana attrazione, ma un prodotto che mantiene viva un’antica tradizione e suggerisce come potrebbe essere il futuro del cibo”.
Giovanni Fancello, giornalista e gastronomo sardo di 77 anni, è uno degli esperti che nei giorni scorsi hanno spiegato alla emittente statunitense Cnn i segreti del casu marzu, la specialità clandestina più famosa della Sardegna.
Ricercatissimo dai viaggiatori americani che, sulla scorta dei consigli dello chef televisivo Gordon Ramsay, vengono spesso alla ricerca del formaggio marcio per provare la faccia più selvaggia della nostra isola, il casu marzu nel 2009 è stato classificato dal Guinness dei primati come il ‘formaggio più pericoloso al mondo”.
Ben rappresentato dai vermi che brulicano all’interno della forma scoperchiata di pecorino, il prodotto più caratteristico e discusso della tradizione casearia sarda è protagonista di un dettagliato reportage pubblicato da Cnn Travel a cura del giornalista Agostino Petroni, in cui si raccontano storia e prospettive di questo cibo tuttora prodotto dai pastori in tutta la Sardegna, anche se ad uso personale o per ristrette cerchie di conoscenti.
“Se si riesce a superare il comprensibile disgusto, il “marzu” ha un sapore intenso con richiami ai pascoli mediterranei e piccante con un retrogusto che permane per ore”, spiega l’articolista, ricordando che il formaggio marcio, considerato da alcuni un potente afrodisiaco, è stato anche oggetto di studi scientifici per la sua presunta pericolosità per la salute (“i vermi potrebbero sopravvivere al morso e creare miasi, micro-perforazioni nell’intestino”. Anche se “finora nessun caso del genere è stato collegato al casu marzu”).
Fattostà che il formaggio marcio, prodotto nella grandi forme di pecorino esposte alla colonizzazione della mosca Piophila Casei, è considerato da tantissimi buongustai una prelibatezza, soprattutto se assaporato con il pane carasau ed innaffiato con del buon vino rosso cannonau.
Registrato come prodotto tradizionale della Sardegna e quindi tutelato localmente, il formaggio marcio – ricorda la Cnn – “è stato ritenuto illegale dal governo italiano dal 1962 a causa di leggi che vietano il consumo di alimenti infetti da parassiti. Chi vende il formaggio rischia multe salate fino a € 50.000 (circa $ 60.000) ma i sardi ridono quando gli viene chiesto del divieto del loro amato formaggio”.
Nonostante i divieti e le multe questo prodotto è però ricercatissimo dai viaggiatori che seguono le gesta di chef come Gordon Ramsay. Ma qualcosa potrebbe cambiare, anche in seguito alle ultime indicazioni dell’Unione Europea che “ha iniziato a studiare e far rivivere il concetto di mangiare larve grazie al concetto di novel food, dove gli insetti vengono allevati per essere consumati. Come dimostrano alcune ricerche – si legge nell’articolo – il loro consumo potrebbe aiutare a ridurre le emissioni di anidride carbonica associate all’allevamento di animali e ad alleviare la crisi climatica”.
L’articolo della Cnn ricorda inoltre come nel 2005 i ricercatori dell’Università sarda di Sassari hanno fatto il primo passo in questa direzione allevando in laboratorio le mosche con cui hanno fatto infettare il pecorino: scopo della ricerca dimostrare che il processo di produzione del casu marzu può avvenire anche in modo controllato.
“Sardi e ricercatori sperano che l’Unione europea si pronunci presto a loro favore – conclude l’articolo di Cnn Travel -. Fino ad allora, chiunque voglia assaggiarlo dovrà chiedere in giro quando arriverà in Sardegna. Per chi è disposto a sospendere le preoccupazioni su ciò che sta mangiando, offre un’esperienza autentica che ricorda un tempo in cui nulla veniva buttato via e quando i confini di ciò che era commestibile o meno erano meno definiti“.
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