Cinque anni fa Stefano Oppo, a soli vent’anni, aveva sfiorato di pochissimo il podio alle Olimpiadi di Rio 2016 nella competizione di canottaggio (doppio pesi leggeri maschile). Con grande amarezza era tornato a casa, ma si era ripromesso che la prossima gara sarebbe finita con una medaglia. E così è stato, alle Olimpiadi di Tokyo2020 Stefano e il suo compagno di squadra Pietro Ruta hanno conquistato una medaglia di bronzo che vale oro.
Un meritato traguardo che si aggiunge a tante altre vittorie collezionate dal 2011, anno della sua prima competizione in maglia azzurra, ad oggi: campione d’Europa, tre volte vice-campione del mondo, una medaglia d’oro e tre d’argento in Coppa del mondo. Stefano ha ancora la stessa grinta di quando era piccolo e oggi ha già chiaro il prossimo obiettivo: Parigi 2024.
A distanza di qualche settimana, cosa ti è rimasto di queste Olimpiadi?
Sono ancora molto emozionato. È stato un anno lungo, la gara doveva essere lo scorso anno e ci siamo allenati tanto. Quella di ora è una sensazione di libertà, perché la medaglia l’abbiamo cercata e ora che ci siamo arrivati mi sento sereno, abbiamo seguito la strada giusta. Sono più che soddisfatto.
Da quanto ti alleni con Pietro Ruta?
Prima delle Olimpiadi di Rio 2016 ci siamo allenati soltanto un mese insieme, poi dal 2017 siamo stati sempre compagni di squadra, la nostra era la barca più veloce e siamo stati confermati dagli allenatori e dal direttore tecnico anche per le competizioni successive. Lui da parte sua ha tanta esperienza, ha partecipato anche alle Olimpiadi di Londra 2012, io sono quello più giovane tra i due, diciamo che ci completiamo.
C’è stato un momento in cui hai capito che saresti salito sul podio?
È cinque anni che abbiamo sempre preso la medaglia contro gli stessi avversari, l’unica volta in cui non l’abbiamo presa è stata a maggio di quest’anno. Quindi lì abbiamo iniziato a pensare che le Olimpiadi di quest’anno ce le saremmo dovute giocare, infatti gli ultimi mesi di preparazione sono stati un po’ più duri, più intensi a livello mentale perché noi la volevamo questa medaglia. Durante la gara, più che la paura di non prendere la medaglia – sapevamo che se avessimo fatto la nostra gara l’avremmo presa -, è stata la paura di arrivare quarti come a Rio.
Qual è la giornata tipo di un campione olimpico?
Noi tutto l’inverno facciamo tre settimane di raduno con la nazionale a Sabaudia (Latina) oppure a Piediluco (Terni), mentre da febbraio in poi abbiamo qualche giorno di stacco tra un raduno e l’altro. La nostra giornata tipo è molto semplice: sveglia e colazione, ci alleniamo tre ore e mezza la mattina, di cui due ore le passiamo in barca, poi pranziamo e verso le tre e mezza riniziamo l’allenamento, che può essere corsa, bici o palestra. Ci alleniamo tutti i giorni, la domenica soltanto di mattina, e infatti è il pomeriggio più lungo della settimana!
Sei anche Ambassador del progetto sociale Casa Tumaini in Kenya. Raccontaci un po’ di come ti sei avvicinato a questo mondo e di cosa si occupa il progetto.
Sono venuto a conoscenza di questo progetto all’Osvic, una onlus di Oristano, durante una chiacchierata, e mi è stato chiesto se si potesse fare qualcosa per promuoverlo, ovviamente sono stato da subito d’accordo. Abbiamo organizzato una cena di beneficenza e altri eventi per promuovere il progetto che si focalizza sui bambini sieropositivi. Inizialmente erano cinquanta bambini che non hanno più una famiglia, perché in Africa è molto comune perdere i propri genitori a causa dell’Hiv e altre malattie. I volontari della onlus si occupano di mantenere i bambini, farli crescere, dar loro un’istruzione, una casa e oggi il progetto si sta ampliando con la costruzione del villaggio e della comunità.
Com’è stato il ritorno a casa? Come riesci a conciliare la vita da atleta e i momenti con la tua famiglia e gli amici?
Il rientro è stato fantastico, oltretutto ho avuto la possibilità di atterrare sia a Roma sia a Milano, poi il giorno dopo sono arrivato a Cagliari, dove ho avuto un’accoglienza molto calorosa. Quando sono tornato qui a Oristano è stato bellissimo, con tutta la mia famiglia e i miei amici pronti ad accogliermi! Per il resto, queste due settimane sono state abbastanza impegnative tra eventi e interviste, però sono riuscito a fare una vacanza anche io con la mia ragazza. Ora fa anche piacere partecipare agli eventi, sempre in sicurezza ovviamente.
A proposito di questo, quando lo scorso anno ti hanno detto che forse sarebbero saltate le Olimpiadi come l’hai presa?
L’ho presa un po’ male, perché dopo quattro anni di preparazione dici no… Però quando era stato annunciato la prima volta, ad aprile 2020, la situazione era ancora grave quindi sarebbe stato giusto così, stavano morendo tante persone quindi alla fine la gara passava in secondo piano.
Quest’anno poi abbiamo vinto anche gli Europei di calcio e tantissime medaglie alle Olimpiadi. Come ti senti a far parte di questo gruppo di vincitori?
Sicuramente sono molto orgoglioso di far parte di questa squadra perché so che tutti gli atleti quest’anno hanno fatto grossi sacrifici, e poi anche per l’esempio che si è voluto dare ai ragazzi più giovani: va bene il periodo difficile, però si può affrontare e superare. Tutti siamo stati chiusi in casa, però così come chiunque ha trovato il suo modo di lavorare a casa, anche noi siamo riusciti in qualche modo a continuare gli allenamenti. È un segnale positivo ed è stato un grande onore per me.
Dove ti vedi nel tuo futuro? Prossimo obiettivo?
Devo dire che prima di queste Olimpiadi ero molto stanco, però dopo l’esperienza a Tokyo, non posso non partecipare alle prossime competizioni di Parigi! Non sarà facile perché ci saranno tanti ragazzi anche più giovani di me, però voglio provarci. In un futuro toglieranno la mia categoria di pesi leggeri quindi bisognerà reinventarsi. Io vado di gara in gara, quindi step by step vedremo cosa succede.
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