Francesco De Gregori domenica 4 aprile compie 70 anni, un compleanno importante che lo trova in un periodo molto positivo della sua carriera che di recente lo ha visto riprendere il filo della sua antica amicizia con Antonello Venditti: i due il 17 luglio hanno in programma un concerto allo stadio Olimpico di Roma. Il miglior augurio che si possa rivolgere all’autore di “Rimmel”, notoriamente allergico alle celebrazioni, è che quel concerto possa davvero andare in scena.
Tra poco più di un mese, il 24 maggio, Bob Dylan, il suo mito musicale, compirà 80 anni e viene da pensare che quella data non mancherà di festeggiarla. Guardando a ritroso ci si accorge che i primi passi nella musica De Gregori li ha mossi 50 anni fa, nel mitico Folkstudio di Roma dove ha conosciuto Venditti e dove è nata quella Scuola Romana che resta uno dei capitoli fondamentali della musica italiana: è proprio riferendosi a questa nuova generazione di autori che Vincenzo Micocci, il discografico che per primo li mise sotto contratto, coniò il termine cantautori. De Gregori per altro ha sempre preferito essere definito artista. Mezzo secolo di musica vissuto con coerenza in cui ha contribuito a dare alla canzone un valore nuovo e più culturalmente elevato, come forma di espressione autonoma, la canzone d’autore, appunto, che resta uno dei prodotti più originali e fruttuosi della cultura del secolo scorso. E viene da ridere a pensare che “Alice”, il brano del suo esordio da solista, dopo “Theorius Campus” con Antonello Venditti, nel 1973 arrivò ultimo al Disco per l’Estate. Come tutti i grandi artisti, Francesco De Gregori ha fondato uno stile, imitatissimo ma irraggiungibile, ha scardinato le regole della composizione tradizionale e ha portato nei testi la sua cultura, trasfigurando nel linguaggio poetico la narrazione non lineare e il fluire della Storia.
Un individualista da sempre aperto alle collaborazioni, quella con Venditti, con De André, quella storica con Lucio Dalla che prima nel 1979 con “Banana Republic” portò per la prima volta la canzone d’autore negli stadi e poi nel 2010 celebrò la carriera e l’amicizia di due amici geniali con “Work in Progress”, con Giovanna Marini e Ambrogio Sparagna, con i quali rende omaggio alla sua passione per la musica popolare italiana, senza contare la lunga lista di duetti e brani scritti insieme o per altri grandi della musica italiana. Ammesso che ne abbia voglia, se dovesse fare un bilancio di quanto fatto finora potrebbe partire dalla certezza di aver prodotto dei capolavori indiscussi, album e canzoni che sono nell’immaginario di intere generazioni, di essere riuscito ad evitare il rischio del cliché, di rimanere intrappolato nelle formule, nelle etichette, anche a costo di sfidare il pubblico quando dal vivo, proprio come faceva Dylan, rendeva quasi irriconoscibili le sue canzoni. E bene ha fatto nel 2015 a celebrare i quarant’anni di “Rimmel”, uno degli album “da isola deserta” della musica italiana, con un grande concerto celebrativo all’Arena di Verona.
Nonostante i grandi cambiamenti avvenuti nella produzione musicale negli ultimi anni di questo decennio, De Gregori resta attualissimo, soprattutto ora che la generazione Z ha riscoperto il piacere della musica e di un testo che non sia solo una sequenza di barre dedicate al disagio solipsistico. Dal suo atteggiamento, sembra che i 70 anni lo trovino in un momento di serenità, sempre considerando il momento che stiamo vivendo: nel 2015 ha finalmente dato corpo e musica al suo amore per Dylan con l’album dedicato alla traduzione italiana di undici brani del primo musicista premio Nobel, ora, proprio come all’inizio della sua formidabile carriera, è pronto a tornare sul palco con Antonello Venditti. E c’è da scommetterci che c’è un Paese intero pronto a fargli gli auguri.