Niente affari per i commercianti con i saldi invernali 2021. Secondo un’indagine di Federmoda – Confcommercio, a gennaio il dato delle vendite di abbigliamento, calzature e accessori in Sardegna scende in picchiata rispetto a gennaio 2020 con le vendite al -43,6% in media (in Italia a -41,1%) Il 95% dei negozi ha infatti dichiarato di aver subito un calo delle vendite rispetto allo stesso periodo del 2020. Solo il 4,2% ha registrato una stabilità nelle vendite e meno dell’1% (0,8%) un incremento. Il mutato quadro sociale oltre che economico ha inciso anche sul tipo di acquisti.
L’indagine infatti evidenzia tra i prodotti più venduti: la maglieria e felpe per la parte più corposa delle vendite (29,9%), intimo (11,8%) tute (9,4%); giubbotti, cappotti e piumini (8,9%), pantaloni (8,3%); scarpe donna (14,8%); scarpe uomo (9,3%); abiti donna (4,8%); accessori (2,8%). In sofferenza le vendite di abiti da cerimonia, uomo, giacche e valige I pagamenti preferiti sono quelli con bancomat (62,9% delle preferenze); seguono quelli con carta di credito (26,4%), mentre è residuale l’utilizzo dei contanti (10,7%), una scelta utilizzata soprattutto per le spese di importo basso. “Nessun segnale di miglioramento per le vendite dei negozi del settore moda nel mese di gennaio di quest’anno sullo stesso periodo dell’anno 2020 – dice Nando Faedda, presidente Confcommercio Sardegna – A differenza del resto del Bel Paese inoltre la Sardegna in arancione, dal 24 gennaio, con soli 15 giorni in area gialla, ha registrato ulteriori contrazioni nelle vendite”. Oltre alla fascia arancione, ad aver penalizzato il settore, secondo l’organizzazione, sono stati i 5 giorni di chiusura obbligata dal 1 al 6 gennaio, il grande utilizzo dello smart working, il minor reddito disponibile dei consumatori causa cassa integrazione, oltre al mancato rinnovo di alcuni contratti in scadenza e il venir meno delle occasioni d’incontro di lavoro e nel privato.
“Il comparto è in forte difficoltà. È urgente intervenire a sostegno del comparto con risorse dedicate anche per tutelare i livelli occupazionali altrimenti, quando la pandemia sarà superata sarà troppo tardi per le oltre 36mila imprese del commercio al dettaglio”, conclude Faedda.