Il fatto artistico tradotto in notizia contribuisce alla capitalizzazione (o ricapitalizzazione) del fatto artistico. La qualità che deve avere il fatto artistico è essere politicamente trasversale mettendo tutti d’accordo, in altre parole non disturbare o turbare troppo.
La democratizzazione e l’alfabetizzazione dell’arte oggi passa per questa modalità. Sembra tristemente impensabile consegnare le piazze pubbliche alle Accademie a agli artisti con una formazione Accademica preposta alle problematiche e dinamiche del contemporaneo, a Cagliari poi nella migliore delle ipotesi tale possibilità passerebbe per l’Accademia di Sassari, ricordate che Cagliari è l’unica città metropolitana occidentale priva di pubblica alta formazione artistica? In uno scenario come quello isolano sembra impossibile scindere il pubblico dal privato.
Eppure consegnando il pubblico al pubblico e il privato al privato, il distinguo tra cosa sia o non sia arte contemporanea e cosa sia un fenomeno di mercato sarebbe depurato e tutto parrebbe più nitido. Perché questa premessa? Perché il sistema dell’arte contemporanea è qualcosa di complesso, che sicuramente non si può liquidare come pratica nei qualunquismi del web, ma il web è diventato un polso del battito dei ritmi del mercato e dell’attribuzione di valore economico dell’oggetto artistico, pensate ai follower di Banksy e a come marchino il territorio del consenso tra lui e gli altri street artisti in termini di quotazioni e d’incisività delle notizie che lo riguardino.
Arrivo al dunque, mai come in questo Natale si è discusso on line d’arte contemporanea a Cagliari, la discussione è stata alimentata dalla comparsa delle sculture peperoncino in macroscala di Giuseppe Carta, artista di chiara fama e dal portfolio indiscutibile, la cui opera scultorea solleva da sempre, ogni qualvolta compare in piazze pubbliche isolane, critiche e polemiche. Artisti e addetti ai lavori isolani ne prendono con impeto le distanze, insomma l’effetto del lavoro di Giuseppe Carta nell’isola, ogni qualvolta compare, è pari a quello di un Maurizio Cattelan, di un Banksy o di un Ai Weiwei su scala internazionale. Perché? Perché il suo lavoro plastico scultoreo si connette senza riserve a l’eccellenza etnogastronomica italica nel mondo? Non siamo forse letti come pizza, spaghetti e peperoncino come eccellenze made in Italy nel mondo? Il lavoro di Giuseppe Carta si connette anche alla lunga tradizione di genere delle nature morte italiane, dove i prodotti ortofrutticoli raccontano metaforicamente la caducità e la complessità della vita. Che sia un artista di genere, pienamente inserito in un filone della tradizione italiana non ci piove, con buona pace dei suoi detrattori, la vera questione che alimenta la discussione è se si sia in presenza di un Caravaggio o di un Ruoppolo.
Giuseppe Ruoppolo è stato un artista di genere immenso, ma nella sua vita ha dipinto soltanto nature morte, insomma si è espresso solo per metafore ortofrutticole sul senso della vita del tempo, per Caravaggio invece la natura morta è stata un episodio di formazione che ha scritto e determinato la storia dell’arte ben oltre il genere con il quale si confrontava.
Tra le critiche più feroci rivolte a Carta, le più feroci sono politiche, si legge il suo lavoro connesso all’attuale amministrazione politica regionale, provocatoriamente qualcuno chiede che Cagliari restituisca a Orani le Sculture di Costantino Nivola e ponga le Sculture di Carta al palazzo della Regione per il riferimento pepato, parrebbe un vero capolavoro della provocazione e della comunicazione, proprio come il dito medio di Cattelan in Piazza degli Affari a Milano. Giuseppe Carta è artista iperrealista, e che in quest’ottica realizza le sue Sculture, può essere anche in chiave d’investimento finanziario il Jeff Koons dell’isola contemporanea? Difficile rispondere a questo, l’iperrealismo sembra essere abbondantemente evaporato come percorso narrativo della nostra storia, resiste come fenomeno di genere, proprio come le nature morte, complice di questo è stata anche l’ascesa della fotografia come forma d’arte contemporanea, e anche il suo sdoganamento tramite applicazioni e social network.
Perché Carta diventi il Koons dell’arte made in Sardegna nel mondo servirebbe uno sforzo economico congiunto, potrebbe avvenire, seppure in ritardo rispetto i trend della storia dell’arte, Oldenburg Maestro della food gastronomia statunitense tradotta in macroscala plastica pop l’ha preceduto di decenni, ma i percorsi dell’economia contemporanea sono più imprevedibili di quelli della storia dell’arte. Altra è la questione che sento ancora più complessa, riguarda il contenuto del lavoro di Giuseppe Carta nei confronti della storia, nel lavoro di Koons come quello di Oldenburg, è stato raccontata l’economia contemporanea, il consumismo sfrenato delle immagini di consumo divenute iperboli critiche.
Cosa racconta il lavora di Giuseppe Carta in relazione alla complessità dei tempi che stiamo vivendo? Qualcuno potrebbe dirmi: la bellezza plastica dell’estetica sensoriale della convivialità che passa verso il cibo e il sapere stare a tavola, anche in tempi di lockdown, ma non so perché, ho la sensazione che sarà molto complicato concordare tutti su questo.
di Mimmo Di Caterino