In un paese normale, in un posto normale, un telo che brucia dovrebbe al massimo essere sanzionato dai vigili urbani per reati contro il decoro urbano, non dovrebbe occuparsene l’antiterrorismo.
In un paese normale, in un posto normale, non dovrebbero essere in vigore leggi varate da un regime dittatoriale, come appunto è il caso del “vilipendio alla bandiera”. In un paese normale, in un posto normale, gli intellettuali dovrebbero prendere posizione contro la criminalizzazione di un gesto puramente simbolico, mettendo da parte il merito della sua valenza politica.
In un paese normale, in un posto normale, le scritte sui muri (per quanto dure) che esprimono giudizi politici (per quanto radicali) rientrano nella dialettica democratica e se non c’è scritto da nessuna parte una minaccia, i media non dovrebbero occuparsene e nemmeno la polizia politica, ma appunto al massimo la polizia locale per questioni di decoro urbano.
In un paese normale, in un posto normale, in un momento in cui la gente muore perché non può farsi una risonanza o seguire una terapia antitumorale, si dovrebbe parlare solo ed esclusivamente di quello. In un paese normale, in un posto normale non accadrebbe ciò che ho appena scritto, in Sardegna e in Italia accade.
In un paese normale, in un posto normale le persone che dedicano la propria vita a lottare contro i soprusi, a raccogliere cassette di cibo per le famiglie in difficoltà economica, a organizzare preziosi eventi culturali, dovrebbero finire sul giornali con lodi di merito e non perché sono perseguitate dalla polizia politica
. In un paese normale, in un posto normale normali fumogeni che si comprano in un supermercato non dovrebbero essere definiti “fuochi d’artificio” o peggio “razzi”. In un paese normale, in un posto normale la polizia non viene a casa tua guardando con sospetto i libri e non sequestra computer e tablet in cerca di chissà cosa, se di mezzo non ci sono presunti atti di vero terrorismo.
Ma che l’Italia non sia uno Stato normale e che la Sardegna non sia un posto normale normale lo sappiamo da tempo. Perché in un paese normale, in un posto normale, ogni volta che compare il nome “antiterrorismo” si dovrebbe ricordare che nel 2009 venne arrestata una persona accusata di far parte delle Brigate Rosse, venne distrutta dai media, passò tre anni della sua vita in carcere lontano da casa, venne licenziata e poi alla fine fu assolta con formula piena. Nessuno fece autocritica.
Non lo fecero i giornali che lo avevano crocifisso pubblicamente e non lo fece la polizia politica. Perché la Sardegna e lo Stato italiano non sono un posto normale. In un paese normale, in un posto normale i giornali e gli intellettuali dovrebbero subito sollevarsi e chiamare l’opinione pubblica alla reazione, perché non si può criticare la Corea del Nord o la Cina per la violazione dei diritti umani e poi fare peggio. In un paese normale, in un posto normale ogni volta che accadono queste cose i sindacati di polizia dovrebbero protestare perché così si infanga e si ridicolizza il carattere democratico di quella che dovrebbe essere una normale polizia di una normale Repubblica . Ma è questa la ragione per cui lottiamo e per cui sanguiniamo.
Perché la Sardegna non è un posto normale ma una sorta di “colonia di sfruttamento” (come diceva Gramsci già cento anni fa). E la Repubblica italiana non è uno Stato normale, ma è un’entità politica che evidentemente non ha mai fatto i conti con il suo essersi “costituita imperialisticamente” (per citare sempre Gramsci) e con vent’anni di dittatura poliziesca. Non chiamateci rivoluzionari.
Chiamateci persone che lottano per vivere in un posto normale. Nuovamente solidarietà, affetto, vicinanza, comunanza con Cristian Perra.
di Cristiano Sabino