Un uomo, un padre di famiglia, papà anche di un bambino portatore di handicap, chiuso in casa ormai da 3 giorni, come anche la madre, il fratello e la moglie, in attesa che venga loro effettuato un tampone per sapere se hanno contratto il SARS-CoV-2, o quanto meno che l’ATS gli comunichi qualcosa e invece, da 72 ore, il silenzio.
Lo sfortunato protagonista dell’ennesimo, quanto assurdo, caso di malasanità, ha voluto raccontarci ciò che lui e la sua famiglia stanno vivendo: il dolore, la paura, ma soprattutto le difficoltà.
“Vivo nell’area metropolitana di Cagliari, da 3 giorni sono in isolamento fiduciario in attesa del tampone, a causa della positività e del successivo ricovero di mio padre. Legati a questa positività ci ritroviamo in 4 nella stessa situazione, mio fratello e mia madre conviventi, io e mia moglie non conviventi. Con me e mia moglie vivono i miei figli, di 9 e 12 anni, non sottoposti a nessuna misura in quanto non hanno avuto contatti stretti negli ultimi giorni. Mio figlio piccolo è portatore di handicap e seguito da un’insegnante di sostegno“, spiega questo papà nella lettera aperta che ci ha inviato.
“Da 3 giorni mio figlio è costretto a non frequentare la scuola, perché noi genitori non possiamo portarlo e, ovviamente, nessun’altra persona si fida in quanto possibile positivo anche lui. Anche la più grande è chiusa in casa, perché spaventata dalla situazione e dalle condizioni di salute del nonno. Sono in possesso di 14 diversi numeri di telefono dell’ATS legati all’emergenza coronavirus, ma a nessuno, mai, nemmeno per sbaglio, in questi 3 giorni, ha risposto qualche operatore e nessuno dalla stessa ATS si è fatto vivo per darci istruzioni, farci capire, suggerirci come affrontare questo incubo. Sia chiaro, io non ce l’ho con gli operatori, i lavoratori della sanità, anzi, meriterebbero ben altro che l’appellativo di eroi a giorni alterni“, nel suo sfogo c’è molta amarezza e delusione nei confronti di un sistema che, forse, come in tanti hanno segnalato già dalla prima ondata di questa pandemia, non funziona proprio come dovrebbe. Un sistema che troppo spesso si dimentica di avere a che fare con persone e non con semplici numeri: persone che hanno una famiglia nella quale magari sono presenti dei bambini, degli anziani o dei disabili, persone che hanno un lavoro, già reso precario dalla difficile situazione economica causata dall’emergenza sanitaria.
“Capisco tutto, le difficoltà e i sacrifici degli operatori sanitari, capisco davvero tutto, ma noi viviamo in Sardegna, famosa in tutto il mondo, non in un’isoletta sperduta in mezzo all’oceano, noi siamo l’Italia, ottava potenza del mondo, è questo il modo in cui un sistema sanitario riconosciuto tra i più funzionali al mondo tutela i propri cittadini? È questo il modo in cui degli adulti, padri di famiglia, che si sono proposti alla cittadinanza in quanto rappresentanti nelle stanze del potere, pensano al futuro dei nostri figli? In questi ‘signori’ c’è qualcosa oltre i sorrisini e il cerone sulla faccia, di fronte alle telecamere? Lo chiedo perché, se c’è altro, io, noi cittadini, non lo vediamo“. E’ tanta la rabbia che emerge dalle parole di questo padre di famiglia, ma anche figlio a sua volta, figlio di un uomo che sta lottando contro quest’incubo che si chiama Covid-19. Rabbia giustificata, comprensibile, ma che comunque, nonostante tutti i problemi, non trascende né chiede favori, ma auspica solo che il sistema funzioni, per lui e per tutti.