Lea Vergine è storia dell’arte.
Critica e curatrice che leggere con vincoli di genere non sarebbe che strumentale, è storia dell’arte e la capacità d’interpretarla in relazione al tempo e alla storia che si vive, e questo non è mai stato pregiudiziale.
I linguaggi dell’arte non hanno mai avuto confini di genere nel loro autodeterminarsi e sottoporsi all’interazione dello sguardo critico dell’altro.
Lea Vergine è stata interprete del suo tempo che ha saputo consegnare alla storia, nel 1974 nel saggio “il corpo come linguaggio” ci ha mostrato la rivoluzione in corso, rivoluzione che ha vissuto in prima persona, nel 1960 era già sposata, ma conosciuto Enzo Mari con lui è scappata da Napoli per convogliare a nuove nozze a Milano nel 1978, la sua vita è stata la sua performance, la sua lettura dell’arte è stata connessa alla sua vita. Lea è stata un riferimento culturale irremovibile nella lettura e nell’autodeterminazione dei processi del fare arte contemporanea post anni settanta, una pietra miliare della mia formazione e della formazione d’intere generazioni.
La sua lettura d’arte connessa alla vita con il corpo elevato a strumento comportamentale ed emotivo comunicativo d’espressione artistica, ha sostenuto e formato generazioni d’artiste e artisti, che con le loro performance rivoluzionavano mondi e sistemi che progressivamente si connettevano ed evolvevano.
I suoi contenuti sono stati miei, quando da giovane studente dell’Accademia di Napoli, assaltavo con un manipolo di giovani creativi armato di pistole giocattolo, passamontagna, quadri e sculture, Musei, gallerie e la stessa Accademia per mutarne la rappresentazione e renderli luoghi progressivamente aperti al pubblico e alla pubblica fruizione.
Lea ha alimentato una prospettiva di visione dove l’arteterapia e la professione, dove l’inconscio e la realtà, si fondono verso un nuovo mondo, quello contemporaneo, dove tutto è performance, visioni e/o incubi da esorcizzare dalla propria prospettiva culturale e interiore.
Lea ci lascia a ottantadue anni, un giorno dopo Enzo Mari suo compagno d’arte e di vita, ci lascia per il Covid 19 come Celant, quasi come se il Covid 19 stesse facendo scomparire prospettive e visioni di cambiamento artistico e culturale.
Il Covid non porta via quello che Lea rappresenta, la vita è una performance da vivere in chiave rivoluzionaria connettendo corpo e mente, e nel nome di questa rivoluzione individuale che il corpo dell’arte sa farsi sociale, in quest’ottica ho una performance in mente, quella di lottare perché Cagliari abbia una sua pubblica alta formazione artistica, dove parole ed esperienze come le sue possano essere studiate e comprese in tutta la loro pienezza, ciao Lea.
L’opinione di Mimmo Di Caterino