Si chiamava Giuseppe Casu. Faceva l’ambulante a Quartu Sant’Elena ed è morto dopo un TSO che l’ha costretto legato a un letto per sette lunghissimi giorni. I medici che lo hanno tenuto in queste condizioni sono stati assolti, ma in questo caso tante aspetti sono rimasti irrisolti.
Il TSO di Giuseppe Casu, ambulante di Quartu Sant’Elena
Giuseppe Casu è morto esattamente 14 anni fa, il 22 giugno del 2006 ma tutta la vicenda ha inizio una settimana prima, il 15 giugno, in piazza IV Novembre a Quartu Sant’Elena. Giuseppe viene avvicinato dai carabinieri e dalla polizia municipale mentre si trova accanto alla sua ape e viene bloccato, ammanettato e portato via. Per molti una liberazione, finalmente l’ultimo ambulante abusivo della piazza è stato tolto di torno.
Natascia, la figlia dell’ambulante, da quel momento non si dà pace e chiede giustizia. Un essere umano, pacifico e senza alcuno squilibrio, è entrato da sano in un in un reparto di psichiatria e ne è uscito cadavere, dopo essere stato legato mani e piedi per sette lunghissimi giorni.
L’intervista alla figlia Natascia
Natascia, sembra la trama di un film dell’orrore. Ma è accaduto veramente.
“Purtroppo è la triste realtà, in soli sette giorni mio padre è stato portato contro la sua volontà nel reparto di psichiatria 1 del Santissima Trinità di Cagliari dove è stato legato mani e piedi con dei legacci di contenzione, bloccato nel suo letto, anche pesantemente, imbottito di farmaci e così legato è morto. Durante le indagini a seguito della nostra denuncia, per fare chiarezza e per chiedere conto all’ospedale pubblico e il personale medico e paramedico dell’ospedale che lo aveva in cura, in custodia, e ne aveva la responsabilità, del perché mio padre fosse stato ricoverato e soprattutto sia morto. Un giorno abbiamo aperto le pagine del giornale e così come se niente fosse abbiamo scoperto senza che nessuno ci avvisasse in anticipo, ci preparasse a quella notizia, che le parti anatomiche erano, non solo sparite, ma anche che erano state sostituite con quelle di un altro uomo che hanno impedito, per citare la sentenza di secondo grado del primo processo sulle cause della morte, di creare un nesso causale tra l’azione od omissione del personale medico e paramedico e la morte di mio padre, anche se la commissione dei giudici ha detto chiaramente che se mio padre non fosse stato ricoverato, oggi sarebbe sano, vivo e vegeto”.
La contenzione non è una misura terapeutica eppure nei Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura di Cagliari Le persone vengono ancora legate. Come è possibile?
“Non solo a Cagliari si continua a legare, ma anche nella maggior parte degli Spdc In tutta Italia. Sono solo 13 reparti di psichiatria che non hanno mai legato e lavorano a porta aperta proprio a dimostrazione che non solo la contenzione non è un atto medico e non è necessaria. Permettetemi, non solo come figlia di Giuseppe Casu, ma come Natascia, come cittadina, ritengo che contenere, che bloccare una persona in un letto sia una tortura, non può essere assolutamente considerato un atto medico. Poi nel caso specifico di mio padre non solo è stato bloccato fisicamente nei due arti ma è stato anche pesantemente imbottito di farmaci e, così, privato della possibilità di svolgere qualsiasi normale azione. Ma lui era sano, gli hanno messo un panno, un catetere, dicono che se lo sia levato quindi gli hanno messo un tampone perineale, cioè un tappo nel sedere, una tortura che non finisce. Lui è stato legato 7 giorni di seguito, dagli atti del processo risulta che nei diari infermieristici non c’è stata nessuna intenzione di volerlo slegare, né sono stati spiegati i motivi per i quali è stato legato, o l’autorizzazione del direttore sanitario del reparto, perché nonostante la contenzione non sia un atto medico, ci sono delle linee guida che prevedono la contenzione solo in casi di estrema necessità, e comunque per un periodo brevissimo. Invece mio padre è stato legato 7 lunghi giorni, l’hanno slegato solo un giorno per fargli la barba e fargli la doccia. Hanno detto però che, siccome lui non era collaborativo, non è stato possibile fargli nemmeno una radiografia al polso, ferito presumibilmente dal brusco TSO avvenuto nella piazza”.
Gigi Ruggeri era sindaco all’epoca. Perché il signor Giuseppe Casu, per il Comune di Quartu, rappresentava un problema di sicurezza e legalità?
“Rispondo citando la risposta dell’interpellanza comunale a nome di Giuseppe Stocchino di Rifondazione Comunista, la risposta è a nome di Antonio Lai, l’ex vicesindaco: Siamo a conoscenza di un fatto certo, che la Polizia Municipale ha emesso numerosi verbali a carico del cittadino signor Casu, ne ha emesso soprattutto a partire da maggio 2005, tantissimi rispetto alla quantità – rispondente a zero – di verbali emessi, non soltanto nei suoi confronti, ma nei confronti della maggioranza degli ambulanti abusivi presenti nel nostro territorio.
Mio padre ha di fatto subito una persecuzione, era un libero cittadino che non poteva prendere la licenza da venditore ambulante perché aveva la terza elementare. Gli hanno messo tante di quelle multe, il 14 e 15 giugno, per esempio, gli hanno fatto due multe da 5000 euro, in seguito gli hanno organizzano il TSO e trovato la soluzione per liberarsi di lui. Questa è una cosa gravissima perché non si può utilizzare un atto medico di estrema necessità per risolvere un problema di ordine pubblico. Per la legge 180 il TSO deve rispettare i diritti della persona, salvaguardare la persona e i suoi diritti anche nel momento in cui la persona non appare in grado di garantirgli al meglio. L’impressione è che su Giuseppe Casu il TSO sia stato utilizzato come strumento di controllo sociale e di contrasto al disordine pubblico. La vecchia ape con il cassone pieno di frutta e verdura che pericoli rappresentava per Quartu? Anche io vorrei capire che pericolo rappresentava mio padre con la sua ape, ancora oggi me lo chiedo e mi sarebbe piaciuto capire cos’è che c’è stato dietro tutto questo accanimento, anche perché il TSO è stato organizzato a tavolino, e lo dimostra il fatto che ci sia stato il tempo di chiamare un giornalista che a sua volta ha chiamato un fotografo, che per fortuna ha fatto molto di più del suo lavoro perché con la sua testimonianza, con la sua sensibilità personale e le sue foto del giorno, prima del TSO ha regalato alla mia famiglia gli ultimi le immagini degli ultimi attimi di libertà di nostro padre. Cioè ci sono le foto di un uomo che fuma tranquillamente il sigaro in piazza, ride e scherza, addirittura anche con vigili e carabinieri, c’è proprio un’immagine, uno scatto, che testimonia un ambiente disteso. Mentre nell’articolo sul giornale si parlava di un uomo tanto pericoloso da richiedere un TSO. Si è parlato di coltelli, ci sono verbali dei vigili spariti. Nel caso di mio padre ciò che emerge dai documenti del trattamento sanitario obbligatorio, che sono stati compilati sommariamente, la causa di applicazione della misura è stata l’ ‘agitazione psicomotoria’, non vuol dire niente. Questi documenti vengono proposti da un medico e convalidati da uno psichiatra, inviati al sindaco che può, ma non è obbligato, convalidare il TSO. In seguito la richiesta passa nelle mani del giudice tutelare che entro 48 ore può rendere legale l’azione. Nel caso di mio padre il tso è stato convalidato il giorno prima della morte. Di fatto era sotto sequestro e alla Giunta comunale non è stata comminata nemmeno una multa, nemmeno una sanzione pecuniaria”.
Quattordici anni fa un uomo sano e non pericoloso è morto in circostanze poco chiare. Vendere frutta e verdura abusivamente era la sua unica colpa. Natascia, e la sua famiglia, chiedono giustizia.