Il packaging del futuro è a impatto zero, anzi meglio se nudo. Il tema da qualche anno è diventato di enorme attualità e si discute molto di come evolverà l’imballaggio: impilabile, intelligente, sensibile, in grado di comunicare con il frigorifero e di controllare l’integrità degli alimenti che contiene…, ma una cosa è sicura, non sarà di plastica. L’attenzione verso l’inquinamento dei mari dove galleggiano vere e proprie isole di rifiuti (secondo la Ellen MacArthur Foundation, nel 2050 ci sarà più plastica che pesce negli oceani), ha portato la questione a livello globale. Il pianeta non è più in grado di gestire la quantità di plastica che produciamo e i trend ci dicono che quello della plastica è un tema che richiede anche un approccio generazionale. Infatti, i Millennials, sono in prima linea sul fronte della sostenibilità, come dimostrano, se ce ne fosse bisogno i Friday Strike lanciati dalla baby attivista Greta Thunberg . Una ricerca indica che il 20% dei giovani consumatori di beni di lusso chiede che i prodotti che acquista siano etici (Statista, 2017). Una presa di posizione non solo ideologica e teorica, ma anche pratica e attiva. Questa nuova mentalità è evidente, per esempio, nelle campagne promosse dai consumatori stessi per diffondere la cultura della sostenibilità con soluzioni plastic-free.
L’industria si sta muovendo verso un sistema più sostenibile, per esempio con la creazione di buste e altri imballaggi più semplici da riciclare o con soluzioni che mantengono i materiali non riciclabili il più a lungo possibile fuori dal flusso di rifiuti. Nel Regno Unito e in Islanda entro cinque anni gli imballaggi in plastica delle Private Label spariranno, sostituiti da vassoi e sacchetti di carta o cellulosa. Nel 2020, Ikea inizierà a eliminare dai suoi negozi e ristoranti tutti i prodotti monouso in plastica, come piatti, tazze e sacchetti per il congelatore.
Tuttavia, l’opportunità reale per le marche non risiede nel vantaggio economico e logistico di un imballaggio semplificato, bensì nella creazione di una maggiore affinità relazionale con il mercato: il packaging sostenibile diventa uno strumento per dimostrare la coscienza ecologica della marca. Così, i brand sono in grado di intrerpretare e in parte risolvere le preoccupazioni del proprio pubblico. In breve, il riciclo può diventare un elemento di coolness delle marche, entrando come ingrediente base nel processo creativo e di design. La reputation del brand – e dunque i suoi valori di consapevolezza etica e ambientale – trova nel packaging un nuovo e ulteriore elemento di leva.
Molto si comincia a vedere in tema alimentare: molti supermercati, anche in America (Whole Foods ad esempio) hanno abolito la plastica e in Nuova Zelanda è stato varato ad esempio il primo supermercato ‘nudo’ nel senso che ogni prodotto è senza imballaggio, vegetali inclusi (si può usare una sporta di corda, riciclabile ovviamente). Foodstuffs, che controlla tre catene diverse di supermercati alimentari, ha firmato la New Zealand Plastic Packaging Declaration con cui si intende eliminare entro il 2025 il packaging – gli imballaggi di plastica – da frutta e verdura oppure, ove necessario, usarlo al 100% compostabile o riciclabile. Dopo l’iniziativa “Food in the nude“, le vendite di verdure sono aumentate del 300 per cento. In Italia molti supermercati vendono prodotti così ma sono una minoranza rispetto alle scatole ad esempio di plastica dura con cui vengono vendute le insalate pronte.
Il beauty anche è molto coinvolto nell’argomento, pensiamo alle confezioni di carta, cartone, plastica con cui vengono avvolte solitamente creme e profumi. Il brand eco – beauty Lush ad esempio sta lavorando molto nel no packaging aumentando continuamente i prodotti senza alcun involucro e optando ad esempio per saponi bagnoschiuma e shampoo 100% vegani venduti senza confezione e usabili dai consumatori riutilizzando lo stesso contenitore sempre. “Il packaging è spazzatura e per troppo tempo abbiamo dovuto soffrirne eccessivamente. Ora che i veri costi finanziari e ambientali stanno diventando evidenti, i clienti stanno sfidando produttori e rivenditori a tagliare la plastica“, ha detto il co-fondatore di Lush Mark Constantine. Il brand dal 2017 sta spingendo sul nude packaging e nel giugno 2018 ha aperto il primo Naked Lush Shop al mondo a Milano, due piani di cosmetici non confezionati o con contenitori riutilizzabili. Davines, un marchio che è una eccellenza del made in Italy, non solo da sempre è impegnato nella biodiversità e sostenibilità (Sustaining Beauty è il suo claim), ma è stato tra i primi ad usare un packaging totalmente riciclabile usando ad esempio plastica bio-based o riciclata o carta riciclata permettendo la riduzione dell’impatto totale del prodotto attraverso abbattimento delle emissioni di gas effetto serra, energia e acqua utilizzata.
FutureBrand ha individuato quattro step per diventare brand sostenibili:
RACCONTARE UNA STORIA
Come ha fatto G-Star, il brand di abbigliamento che con la sua linea Raw, toglie plastica dai mari e racconta una storia avvincente e positiva con un testimonial d’eccezione: Pharrel Williams.
INNOVARE, SEMPRE
Carlsberg è pronta ad abbandonare i cerchietti di plastica che tengono insieme le sue lattine di birra. Al loro posto, incollerà le lattine con una colla speciale, ovviamente, biocompatibile. Procter & Gamble ha siglato una partnership conTerracycle, lo specialista del riciclo statunitense, per produrre la prima bottiglia di shampoo “Head and Shoulders” con plastica oceanica.
IL DESIGN DEL RICICLO
L’Oréal ha lanciato Seed Phytonutrients, una linea di prodotti di bellezza ecosostenibile. I flaconi contengono il 60% in meno di plastica rispetto agli imballaggi standard. Lo strato esterno è realizzato in carta riciclabile, compostabile e impermeabile, mentre l’interno è in plastica riciclata alimentare.
PARLARE
Con il claim: “I migliori caffè del mondo, in un modo che è il migliore per il mondo”, la start-up inglese Halo produce caffè premium confezionato in capsule biodegradabili dimostrando che praticità e sostenibilità possono convivere. Le capsule fatte di bambù e pasta di carta e si dissolvono completamente in 90 giorni, senza alcun compostaggio industriale.