Nelle settimane in cui si parla con sempre maggiore insistenza della finale di Supercoppa italiana che si giocherà mercoledì 16 in Arabia Saudita, numerose sono le questioni aperte sullo Stato considerato dagli analisti politici “il principale sponsor del terrorismo jihadista”.
Una guerra che dura da 4 anni contro le popolazioni sciite in Yemen e l’uccisione di un giornalista hanno riaperto la discussione sui diritti umani nei paesi del Golfo. Un ulteriore dibattito, inerente al match, è scaturito dalla vendita di biglietti riservati a soli uomini in alcuni settori dello stadio, scatenando le reazioni da parte di tanti in tutta Italia, un po’ per miseria umana, un po’ per meschino tentativo di strumentalizzare questi argomenti. E ora, tutti si scoprono “lontani” dai sauditi.
Ma tutti dimenticano che l’Arabia Saudita è un nostro sponsor commerciale oltre che politico. Sì, proprio così: lo Stato che arma e finanzia Al Qaeda e l’Isis sono i nostri principali alleati nel contesto mediorientale. Tutti vanno alla corte dei Principi sauditi, da destra a sinistra passando per i grillini, ma tutti dimenticano cosa sono Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi e tutti i paesi di ispirazione sunnita e wahabita, se ne dimenticano perché i petrodollari sono di fondamentale importanza per tutti in Europa, Israele e Usa. Ma, per tornare alla partita, certo non sarà possibile spostare la sede della competizione tra Juventus e Milan.
Eppure queste squadre dovrebbero dare un segnale chiaro forte e preciso: è una Supercoppa insanguinata e questo ci deve indignare profondamente tutti. Per fortuna non tutto l’Islam è quello dei paesi del Golfo, non tutto l’Islam odia gli omosessuali e le donne, non tutto l’Islam tortura i giornalisti, non tutto l’islam è complice dei massacri contro i cristiani. Sembrerà strano ai più, ma quelli che Usa, Israele e Turchia considerano “l’Asse del male” sono quei Paesi, come Siria, Iran e Libano, che vivono i diritti civili come una conquista raggiunta da decenni.
Solo l’Occidente “assetato” dai petrodollari riesce comunque a guardare come interlocutori questi Stati dove le donne non possono andare allo stadio senza alcun vincolo e dove ai cristiani è impedito di pregare nelle loro chiese aperte da centinaia di anni.