Sono passati dieci anni dall’omicidio di Dina Dore, la casalinga di Gavoi (Nuoro) trovata morta nel bagagliaio della sua Fiat Punto, con la figlioletta di otto mesi che dormiva sul seggiolino.

Il 26 marzo 2008 era una fredda notte nel paese di montagna. All’inizio si pensò a un sequestro, poi la scoperta del cadavere. Secondo due sentenze – in primo grado e in appello – il mandante del delitto è stato il marito, il dentista Francesco Rocca, condannato all’ergastolo, mentre un giovane del paese, Pierpaolo Contu, minorenne all’epoca dei fatti, è stato condannato a 16 anni come l’autore materiale. Da quel giorno di dieci anni fa l’immagine di Dina Dore è diventata l’icona del femminicidio in Sardegna: l’8 marzo scorso la Giunta regionale le ha intitolato la sede della commissione regionale Pari Opportunità e prima ancora l’amministrazione comunale di Bosa le aveva intitolato un viale. Gavoi questa sera la ricorda con un convegno dal titolo “Donne uccise: una ogni 60 ore”, promosso dall’associazione “Sardegna di dentro”.

Una delle relatrici è l’avvocata Annamaria Busia, che ha scritto la bozza della legge che tutela gli orfani dei femminicidi. “Dieci anni sono passati ma è come se fosse ieri – racconta all’ANSA la sorella Graziella Dore -. Quella sera all’inizio ho creduto al sequestro, ma nella notte tutto è precipitato: mio marito è rientrato a casa e una volta arrivato nel lettone dove io cullavo Elisabetta, mi ha detto che avevano trovato Dina. Pochi secondi di illusione per il ritrovamento, poi la notizia terribile” della morte.