Il 13 settembre 2009 partecipai come osservatore internazionale al primo referendum per l’indipendenza autoconvocato dalla popolazione di Arenys de Munt, un piccolo paese catalano di 8000 abitanti a nord di Barcellona.
Per l’occasione due bus carichi di neofranchisti spagnoli arrivarono per impedire la consultazione e fecero una pessima figura perché le bandiere della Spagna, le croci celtiche e le teste rasate sparirono letteralmente in mezzo alla grandissima mobilitazione popolare che fu colorata e festosa.
Da quel giorno il movimento indipendentista catalano ha fatto passi da gigante e alla celebrazione della Diada (la festa nazionale catalana, simile al nostro 28 di aprile) si è passati da qualche migliaio di persone in piazza ad una marea umana di circa due o tre milioni di persone.
Nel frattempo lo stato Spagnolo ha stupidamente negato ogni riforma dello statuto catalano gettando benzina sul fuoco del catalanismo e riuscendo nell’incredibile impresa di spostare tutto l’arco dei partiti e dei movimenti catalani verso l’indipendentismo aperto.
Ormai l’80% della popolazione catalana è pienamente convinta che non ci sia futuro dentro la Spagna.
Invece di trattare e cercare soluzioni di compromesso cosa ha fatto il Governo Spagnolo? Assolutamente nulla, tranne che negare il problema e trincerarsi dietro l’illegalità del referendum. Così, a pochi giorni dal primo ottobre lo Stato spagnolo ha iniziato a mostrare i muscoli della repressione trattando la questione nazionale catalana come un problema di ordine pubblico.
Così fra impugnazione di leggi del Parlamento catalano, perquisizioni nelle tipografie sospettate di stampare le schede elettorali, ridicole ricerche delle “urne elettorali” da sequestrare, chiusura di siti internet e divieti di manifestazioni e conferenze, il centralismo monarchico spagnolo è arrivato al punto di inquisire tutto il Governo catalano e di minacciare di arresto tutti i sindaci sospettati di voler collaborare alla celebrazione del Referendum.
Sì, perché circa 700 sindaci su 948 in Catalogna si sono schierati a favore del diritto dei cittadini catalani a decidere se diventare un nuovo Stato o rimanere inglobati nella Monarchia spagnola. Chi non si presenterà in procura a rispondere alla convocazione del procuratore dello Stato José Manuel Maza potrà essere tratto in arresto con le accuse di disobbedienza, abuso di potere e malversazione di denaro pubblico. Per questi reati sono previste pene di carcere fino ad 8 anni. I sindaci della sinistra indipendentista catalana dell’aggregazione politica CUP hanno già dichiarato a gran voce che praticheranno la disobbedienza ed è assai facile prevedere che anche gli altri sindaci seguiranno l’esempio.
A questo punto è utile farci alcune domande. Come è possibile trattare la questione catalana come un banale problema di ordine pubblico? Perché per il pensiero dominante che governa la UE il diritto all’autodeterminazione può essere usato a correnti alternate (Kosovo, Montenegro, Tibet sì, Catalogna, Paesi Baschi, Corsica, Sardegna, Kurdistan no)? Gli stati formatisi dalla fine del Medioevo fino all’Ottocento hanno ancora senso di esistere o sarebbe finalmente ora di pensare ad una forma-stato capace di garantire il diritto all’autodeterminazione nazionale dei popoli e delle minoranze? Da questo punto di vista è significativa la dichiarazione del presidente catalano Puigdemont sul diritto all’autodeterminazione della minoranza occitana se vincerà il Si al referendum.
Se vince il Sì gli occitani potranno esercitare il loro diritto all’autodeterminazione. Nessuna intimidazione, nessuna repressione, nessuna pretesa di ingabbiare i popoli, di imporre una lingua, una cultura, una visione del mondo. Gli Stati ormai hanno senso se diventano libere associazioni di cittadini uniti da diritti e doveri e non gabbie che schiacciano minoranze linguistiche e culturali in nome di una presunta superiorità o missione storica di un popolo su un altro.
Ed è per questo motivo che i catalani ce la faranno. Perché la loro battaglia è profondamente giusta e apre la nuova frontiera della democrazia: la fine degli imperi, del colonialismo, della violenza dello stato sui popoli.
Visca Catalunya llure!
Cristiano Sabino