Vi racconto la storia di Diego, 11 anni. Vive con la madre, ha perso il padre da 4 mesi; vorrebbe tornare indietro, salutare il padre, farsi coccolare dalla madre, giocare a pallone e non sentirsi in colpa per il suo desiderio di giocare. Diego si sente inadeguato mentre la madre passa le sue giornate a letto a piangere la morte del marito, senza nemmeno mangiare! Diego sa vedersela da solo: quando rientra a casa, dopo la scuola, acchiappa velocemente due piatti da lavare tra quelli sporchi nel lavandino, apparecchia la tavola e prepara il pranzo. A volte la madre gli fa compagnia e mangia quello che lui ha preparato. Poi Diego fa i compiti, e spera che non siano troppo difficili.
Luca ha 13 anni. Un’altra storia. Vive con la madre e il padre, sua sorella ha lasciato casa quando aveva 16 anni. Luca odia la scuola, ma meno di suo padre. Quando rientra a casa vorrebbe fare i compiti e, a volte, ci prova davvero ma proprio non ce la fa. Lancia bruscamente un libro per terra, strappa le pagine del quaderno, tira calci a un borsello rosso. Luca non ha bisogno di prepararsi il pranzo. In frigo trova una pentola con della pastasciutta preparata dalla madre la sera prima. La mangia in fretta, ancora pochi minuti prima che rientri il padre, molto probabilmente arrabbiato; Luca non vuole farsi trovare in giro per casa. Ma più tardi rientrerà anche la madre e allora sarà costretto a uscire allo scoperto per aiutarla. Per salvarla. Prenderà botte anche lui, ma poi la madre lo curerà.
Luca è il bullo della scuola, Diego è una delle vittime. Entrambi sono perdenti. Entrambi vivono situazioni di disagio. Luca è arrabbiato, indebolito emotivamente, si sente vinto, impotente. Le uniche strategie che trova per sostenere la situazione sono quelle di sbeffeggiare chi ritiene più debole di lui. Può sentirsi potente. Almeno per un momento si vede forte, rispettato; sente di poter controllare le persone e per qualche ora sarà veramente così. Ma Diego paga un prezzo troppo alto per aiutare Luca nella sua autostima. A Luca non basterà la paura di Diego, non basterà il suo servilismo, non basterà una volta, non basteranno dieci volte. E poi Diego è troppo stanco, troppo timido, troppo magro, lo sguardo troppo basso, il passo troppo lento, il berretto troppo storto, per fronteggiare Luca.
E intorno, ci son troppi spettatori che non vedono, ci son troppi complici che non sanno. Intorno, ci sono gli altri, quelli che non si accorgono, quelli che ridono per timore, quelli che ridono per crudeltà, quelli che non sono capaci di empatia. Quelli che non sono capaci.
E allora, se proprio non possiamo cambiare gli altri, cerchiamo di equipaggiare i nostri figli.
Mettiamo loro la maglia della salute, una sciarpa morbida, un maglione pesante, un bacio affettuoso, un complimento sincero, un abbraccio inaspettato, un abbraccio atteso.
Mettiamo il rispetto, togliamo il giudizio, mettiamo l’indulgenza e la cura.
Non ridicolizziamoli, o sarà difficile far credere loro che il bullo sbaglia!
Non lasciamoli soli, i figli hanno bisogno di vivere i genitori; la frustrazione e la rabbia non potranno essere soppiantate da giochi, abiti costosi, tecnologia d’avanguardia; i bulli sono persone arrabbiate.
Riserviamo loro del tempo di qualità.
Aiutiamoli a regolare le emozioni: diamo a queste un nome, un peso, un senso.
E poi, cerchiamo di essere genitori sereni. Prendiamoci cura di noi, impariamo a volerci bene. Il benessere dei nostri ragazzi, passa dal nostro!
Marzia Spedicato, psicologa
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