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Con oltre un milione di persone, la comunità rumena è la prima in Italia. Una presenza che ha radici nel secolo scorso ma che dopo gli accordi di Schengen, con la libera circolazione nell'eurozona, è arrivata a rappresentare 1/5 di tutte le altre comunità straniere nel nostro paese. Anche in Sardegna la comunità è in espansione e nel solo comune di Carbonia sono oltre 100 gli individui di nazionalità rumena. Lo sa bene Petronela Baltariu, da 11 anni una delle rappresentanti nel Sulcis: “Le rumene- afferma la donna- sono conosciute per la loro attitudine a ricoprire mansioni di lavoro che per lungo tempo sono state trascurate o considerate inferiori dagli italiani. In particolar modo quelle inerenti la collaborazione domestica con anziani e persone non autosufficienti”.

Mansioni che però negli ultimi tempi a causa della crisi e della fortissima disoccupazione sono state riconsiderate da molte italiane sempre più propense a esercitare qualsiasi lavoro. Non a caso da più parti si paventa il rischio di una contrapposizione tra lavoratrici e di una “svalutazione sociale” diretta conseguenza delle condizioni economiche e contrattuali spesso accettate o proposte dalle collaboratrici rumene nell'esercizio delle loro mansioni.

Ma Petronela precisa: “E' vero che a differenza delle Italiane le romene accettano anche di lavorare 24 ore su 24 per tutto il mese spesso senza giorni di riposo e il più delle volte con salari inaccettabili per gli standard di vita italiani, anche se notevoli per quelli romeni. Ma spesso dall'altra parte ci sono persone con pensioni minime e in gravi difficoltà economiche. Persone il più delle volte non autosufficienti e prive di sostegno familiare e statale che senza il fondamentale sostegno garantito dalle collaboratrici rumene, finirebbero in ospizio o abbandonate a se stesse”, conclude la donna.

Paradossalmente l'apporto delle rumene ha una valenza sociale importante, ma la svalutazione salariale e contrattuale sta obbligando anche le lavoratrici italiane ad accettare condizioni economiche e lavorative sempre più orientate al ribasso. La domanda che molti si pongono, è come coniugare l'irrinunciabile necessità di molti pensionati poveri o semi-poveri e non autosufficienti ad essere assistiti (tanto più nell'attuale epoca di tagli e risparmi da parte dello Stato), e il forte rischio di diminuzione generale dei diritti di tutti i lavoratori in competizione tra loro nell'attuale regime di concorrenza al ribasso?