Tra gennaio e agosto di quest'anno si sono persi in Sardegna 613 esercizi nei settori commercio al dettaglio, alloggio e somministrazione. Lo rileva un'indagine dell'Osservatorio regionale della Confesercenti. Scorporando i dati, emerge che nei primi otto mesi del 2013 si è avuto un saldo negativo di 436 esercizi commerciali al dettaglio a fronte di 484 nuove aperture e 920 chiusure. Non va meglio tra le attività di alloggio e somministrazione (ricettivo, ristoranti e bar) dove la contrazione è stata di 177 unità, circa l'1,3% del totale delle imprese registrate nei settori di riferimento (13 mila 253 unità lavorative).
Alla crisi del commercio in sede fissa corrisponde una relativa vitalità degli esercizi su area pubblica che, dall'inizio del 2013, registrano nell'Isola 216 imprese in più (408 iscrizioni e 192 chiusure). Da segnalare che la percentuale di ambulanti stranieri è in costante aumento: negli ultimi trimestri, infatti, circa un terzo dei nuovi iscritti è composto da non italiani.
"Questa mattanza – commenta il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis – è dovuta a diversi fattori: lo strapotere della grande distribuzione presente nel territorio sardo, la mancanza di denaro disponibile al consumo da parte dei cittadini, in quanto gli stipendi hanno perso potere d'acquisto, l'eccessivo numero di disoccupati e cassintegrati e il continuo drenaggio fiscale. Se poi resterà in piedi l'ipotesi di aumento dell'Iva, siamo al capolinea – attacca il responsabile di categoria – Bisogna rimettere i soldi nelle tasche degli italiani, non c'è scampo. La principale causa del blocco dei consumi, come confermano tutti gli studi di settore, è dovuta essenzialmente alla scarsa disponibilità di soldi. Ecco perché bisogna ridurre la pressione fiscale. L'aumento dell'Iva – conclude Sulis – finirebbe col peggiorare la già drammatica situazione perché colpirebbe tutti. Indistintamente".