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Ci voleva Mesina. È anche grazie a lui che si accendono i fari sull’emergenza in corso nel quartiere di Sant’Elia. Un rione “dove”, secondo i giudici che indagano sull’ex ergastolano orgolese, “le stesse forze dell'ordine incontrano notoriamente difficoltà ad esercitare la loro azione a causa del penetrante controllo del territorio da parte dei trafficanti di droga” .

Denunciando, a quanti l’avessero dimenticato o anche solo si fossero rassegnati all’idea, lo scandalo di un quartiere ostaggio della criminalità organizzata. Dove le gang da un lato riescono a conquistarsi consenso sociale arruolando (e quindi stipendiando) migliaia disoccupati nel sistema dello spaccio, e dall’altro opprimono e calpestano il diritto alla tranquillità e alla sicurezza della stragrande maggioranza di cittadini onesti del posto. Ormai cronicamente sfiduciati verso qualsiasi nuova iniziativa e, di fatto, abbandonati dalle istituzioni che da anni ormai si limitano a svolgere un’attività sociale che troppo spesso si è dimostrata tutt’altro che disinteressata. I pochi aiuti e incoraggiamenti arrivano dai volontari, dalle scuole e dalla parrocchia, presidi di legalità del rione. E il tutto accade, incredibilmente, in un angolo meraviglioso della città, tra mare, oasi verdi, monumenti e testimonianze archeologiche, dove le abitazioni dovrebbero costare il triplo del prezzo rispetto a quelle del centro.

Com’è stato possibile? Perché in una città tranquilla come Cagliari un intero rione è stato consegnato alla malavita? Le motivazioni del disastro nella mancanza di “gestione” del quartiere, dove abitano 7 mila e 500 abitanti, prevalentemente in alloggi erp (edilizia popolare). Il Borgo vecchio nasce negli anni ’50 per trovare un’abitazione alle famiglie (quasi tutte di pescatori) che abitavano i ruderi dell’antico Lazzaretto, mentre il Borgo Nuovo, in stile modernista con palazzoni alti e allineati, è stato realizzato tra gli anni ’70 e ’90, è stato assegnato a cagliaritani disagiati e meno abbienti, provenienti da diverse zone della città.

Ma tutta la zona è stata abbandonata al suo destino. Due strade a scorrimento veloce (l’asse mediano e viale Ferrara) i confini naturali e istituzionali (mare e servitù militari), hanno chiuso in un angolo il rione, separandolo dal resto della città. E l’isolamento ha garantito l’impunità ai traffici illeciti, alle occupazioni abusive degli appartamenti e alle prepotenze di ogni tipo. Gli ultimi studi effettuati dal Comune hanno evidenziato come la marginalizzazione di Sant’Elia abbia fatto sì che diventassero croniche la disoccupazione, la cattiva occupazione e quindi il ricorso a forme di reddito fuori mercato e fuori legge. Praticamente ai minimi termini le condizioni (anche di sicurezza) per l’avvio di qualsiasi tipo di attività economica. Scarsa anche l’alfabetizzazione, sia degli adulti che dei giovani, questi ultimi, oltretutto, sempre più spesso vittime della dipendenza da alcool e droga. Preoccupante, in proposito, il progressivo abbassamento dell’età di ingresso nel circuito penale.

Nel corso degli anni i palazzoni (Del Favero, Bodano e Gariazzo) sono diventati veri e propri bunker della droga. Scioccante la relazione di Area (agenzia regionale edilizia abitativa) del 2011: sfruttando la permeabilità degli edifici e delle aree esterne ai fabbricati, le gang dello spaccio si sono ritagliate spazi di azione e di rifugio, sottratti agli abitanti, realizzando efficaci sistemi di fuga. Le parti di uso pubblico dei fabbricati o aperte su spazi pubblici, come pilotis e piani piastra, sono state sottoposte nell’arco di poco più di un decennio ad un’opera sistematica di distruzione, estesa perfino alle parti condominiali degli ingressi agli alloggi e che non si è mai arrestata di fronte ad alcun tentativo di difesa dei tanti residenti onesti. Costretti a fare i conti con androni dei palazzi che i trasformano in circoli ricreativi abusivi, quando non in bar o veri e propri ristoranti. Ma in pochi si lamentano e solo sottovoce: troppo alto il rischio di ritorsioni. Lo conferma anche un consigliere comunale che si trincera dietro l’anonimato. “In alcuni palazzi di via Schiavazzi gli ingressi sono stati chiusi e gli abitanti per tornare a casa sono costretti a passare dagli androni dove nel frattempo sono stati sistemati ristoranti abusivi, dove se ti va puoi mangiare una bistecca davanti a una scala condominiale. Nessuno denuncia. Hanno tutti paura. Se parli ti incendiano il portone di casa, è sicuro”.

Un quadro drammatico, seppur in una cornice come quella di Sant’Elia possiede grandi potenzialità di sviluppo. Garantite sia dal contesto ambientale favorevole (il mare, il colle, il canale di Terramaini e testimonianze del passato come il fortino di Sant'Ignazio) sia dagli investimenti in programma (Arena Sant’Elia, porticciolo, riqualificazione del lungomare e del padiglione Nervi, il parco del Lazzaretto).

Ma il destino del quartiere sembra interessare poco alle istituzioni. Da decenni la “debolezza” degli abitanti ha invitato più di un politico a cercare voti a buon mercato. Altro che televisore a colori, una preferenza si ottiene anche con una bolletta della luce pagata o con la bombola del gas. Invece in pochi hanno pensato a qualcosa di concreto. Delogu migliorò (nuovi giardini) il decoro del Borgo vecchio, mentre Soru nel 2008 (a un anno dalle regionali) demolì i covi dello spaccio ai palazzi Del Favero. In seguito i master plan della sua amministrazione per il restyling del rione (firmati dall’archistar olandese Rem Koolhaas), furono contestati per una (delle tre) soluzioni che prevedevano la demolizione e la ricostruzione dello stadio verso il mare e la costruzione di nuovi palazzi nell’area del Sant’Elia e bocciati dal Comune allora guidato dalla giunta Floris. Il piano tuttavia guardava alla rottura dell’isolamento, il vero male di Sant’Elia. Soru perderà le elezioni nel 2009. Ma nonostante il denaro per il quartiere (30 milioni di euro) in cassa, l’amministrazione di Cappellacci tirò fuori il nuovo progetto solo nel maggio 2011, nel pieno della campagna elettorale per le comunali cagliaritane. Vinte poi da Zedda che impiegherà tuttavia altri due anni prima di trovare un accordo con Area, presupposto indispensabile per la redazione dei progetti esecutivi per il rilancio del quartiere.

E ora si attendono i lavori di restyling dei palazzoni, previsti per l’anno prossimo. Già partita la riqualificazione del parco del Lazzaretto e il lungomare. E i fondi del piano città (in primis padiglione Nervi e navigabilità del canale di Terramaini) destinati allo sviluppo di Sant’Elia. Dove, intanto, regnano sfiducia e rassegnazione.