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La bici al posto dell’auto? Nell’immediato non risolve i problemi della mobilità

La bicicletta è un mezzo di trasporto che, da solo o integrato con altri modi, può concorrere a soddisfare la domanda di mobilità urbana. E’ quindi uno dei modi di viaggio, insieme alla pedonalità ed al sistema dei trasporti pubblici, alternativi all’uso dell’automobile privata su cui impostare politiche di mobilità sostenibile (evita il traffico e le code, rende certi i tempi di percorrenza, e poi fa bene alla salute, riduce l’inquinamento ed è economica). La domanda che tuttavia ci dobbiamo porre è se la bicicletta possa rappresenta realmente una soluzione efficace per vincere la battaglia contro l’uso dell’autovettura privata.

Occorre a mio avviso essere “intellettualmente onesti” nell’affermare che nel breve medio periodo, rispetto per esempio al trasporto pubblico, l’uso della bicicletta favorito anche dalla realizzazione di piste ciclabili, non può rappresentare la risposta o la soluzione, in termini di diminuzione dell’uso dell’auto e/o dei chilometri percorsi in auto, ai problemi di mobilità nelle aree urbane. Per tutta una serie di motivi tra cui il principale è che “convincere” gli automobilisti che la bicicletta è una valida alternativa e, per questo, cambiare comportamento di viaggio, non è un compito facile, anzi risulta complesso e lungo. Perché non si tratta soltanto di convincerlo a non fargli utilizzare l’auto, ma anche, e soprattutto, di convincerlo ad usare la bicicletta. Occorre inoltre far “maturare” negli altri utenti della strada (pedoni ed automobilisti) la convivenza con i ciclisti. 

E poiché lo spazio stradale a disposizione è una risorsa limitata occorre fare delle scelte ragionate, su quali sistemi devono essere privilegiati, almeno sui corridoi di traffico più importanti, al fine di consentire al sistema con il potenziale più elevato (prima di tutto il trasporto pubblico rispetto alle piste ciclabili ed al mantenimento delle auto in sosta) di rappresentare una alternativa veramente competitiva rispetto all’uso dell’autovettura privata.

Le piste ciclabili? Da sole non bastano

Il processo per attivare questo meccanismo di cambiamento è molto difficile, lungo, perché entrano in gioco fattori “culturali”, sia personali che pubblici (amministratori) che è molto complesso scardinare. E tale processo è molto più difficile da affrontare se portato avanti al di fuori di una strategia complessiva di azioni combinate per la risoluzione dei problemi di mobilità nel suo complesso,ed è pericoloso perché se si sbaglia, per esempio su come si fa una pista ciclabile (sicurezza), è più difficile poi recuperare e questo vale per tutte le iniziative e interventi nel campo della mobilità.

Molte esperienze hanno dimostrato che non è sufficiente realizzare esclusivamente una pista ciclabile perché venga utilizzatala bicicletta, almeno nelle brevi distanze, ed in particolare al posto dell’auto propria per gli spostamenti casa-lavoro, che rappresentano la quota più elevata di traffico automobilistico nelle ore di punta del mattino. Tra il 2000 e il 2010 le piste ciclabili urbane in Italia sono cresciute di più di tre volte (da 1000 km a 3300 circa) mentre la percentuale di spostamenti urbani in bicicletta è rimasta identica  (3,8%). 

Il più delle volte ciò che si percepisce è esclusivamente il compiacimento e l’enfasi con cui le amministrazioni inaugurano le nuove piste ciclabili, come se il compito si esaurisse in quel momento. E questi interventi non vengono mai messi a confronto con quanto invece la stessa amministrazione investe in strade e parcheggi e con quanto “non investe” sul trasporto pubblico. Ciò tuttavia non toglie che occorra investire sulla bicicletta ma con la consapevolezza  che occorra lavorare molto di più per trasformare la bicicletta in un mezzo di trasporto a tutti gli effetti alternativo all’auto.  

Due sono le principali “preoccupazioni” di un ciclista: la sicurezza del tracciato e il danneggiamento o il furto della bicicletta. Occorre quindi che le piste ciclabili siano molto “sicure”, con particolare attenzione agli incroci prima ancora che sulle corsie di marcia, siano disponibili parcheggi e rastrelliere diffuse per le biciclette, siano integrate con gli altri sistemi di trasporto che soddisfano gli spostamenti più lunghi, e quelli effettuati in condizioni climatiche sfavorevoli, e possano realmente consentire di svolgere uno spostamento da un origine ad una destinazione. In questo senso un valido punto di partenza per promuovere la ciclopedonalità sono i centri storici, le aree pedonali e le zone a traffico limitato che possono essere trasformate in zone a ciclabilità diffusa, integrate con il resto della città attraverso il trasporto pubblico, facendo delle fermate degli autobus delle vere e proprie “ecostazioni” dove si trovano le bici in sarin con cui completare il proprio spostamento nel centro storico. La diffusione dell’uso della bici in queste aree può fare da volano ad un uso più diffuso della bici nel resto della città. In questo senso, ed anche in riferimento al diverso atteggiamento che gli abitanti di una città hanno verso l’uso della bicicletta, una campagna di comunicazione e sensibilizzazione può avere grande importanza per il reale successo di un intervento di ciclabilità urbana.

 

La soluzione: una gestione operativa unitaria della mobilità nell’area vasta

La “strada” per fare di Cagliari e la sua area vasta un territorio in cui ci si possa spostare in bicicletta appare oggi ancora molto lunga non esistendo una cultura diffusa ed un approccio strutturato al tema della mobilità in grado di dare continuità alle scelte (barriere procedurali ed assenza di competenze specifiche); e questo vale anche per un piano di ciclabilità, se si vuole che questo aiuti a risolvere i problemi di mobilità dell’area vasta, insieme agli altri modi di trasporti, ed in particolare al trasporto pubblico.

Serve una concreta e intelligente visione d’insieme del fenomeno della mobilità, in cui le problematiche  e gli obiettivi siano  esattamente percepiti, specificati e condivisi, oltreché quantificati, per avere la possibilità di riflettere e valutare diverse alternative che si articolano su una combinazione di interventi su più modalità tra cui, la principale, il trasporto pubblico collettivo. In estrema sintesi anche per promuovere la mobilità ciclabile serve una gestione operativa unitaria della mobilità nell’area vasta.