bambino-morto-dopo-una-tragica-battuta-di-caccia-la-famiglia-dice-no-all-espianto-degli-organi

Non è stato dato il consenso all'espianto degli organi dal corpo di Andrea, il dodicenne morto dopo che domenica scorsa era stato ferito alla testa da una fucilata mentre partecipava ad una battuta di caccia al cinghiale.

E' possibile che la decisione sia stata presa dai familiari per evitare al corpicino di subire ulteriori interventi. Infatti i medici hanno tentato l'impossibile per evitare un simile epilogo, ma il colpo di fucile che ha colpito il dodicenne aveva devastato il suo cervello.

Domenica per il ragazzino si era ripetuto il rito della caccia e aveva accompagnato il padre e il fratello maggiore per una battuta al cinghiale con una compagnia nelle campagne di Irgoli. Appostato fra i cespugli aspettava la preda quando all'improvviso un colpo lo ha colpito alla testa.

Trasportato con un elicottero nell'ospedale di Nuoro, era stato anche operato per l'asportazione della pallottola ma le sue condizioni erano apparse subito disperate. Molte le polemiche seguite all'incidente, soprattutto per la presenza di un ragazzo così giovane ad una battuta di caccia grossa.

Intanto si aggrava la posizione di Franco Paletta, 64 anni, carabiniere in pensione, dalla cui arma è partita la fucilata che ha raggiunto il ragazzo: inizialmente indagato per lesioni gravissime, dovrà rispondere ora di omicidio colposo. I carabinieri della Compagnia di Siniscola stanno completando il rapporto da passare al magistrato che dovrà nei prossimi giorni interrogare il pensionato. Nel primo confronto l'uomo, ancora sotto choc, si è avvalso della facoltà di non rispondere. La ricostruzione fatta dai militari coinciderebbe con le testimonianze fornite dai presenti: prima avrebbe sparato Nicolò Cadinu, padre del bambino, forse per colpire una volpe, poi, dalla parte opposta, Paletta. Il piccolo Andrea, accanto al padre, si sarebbe spostato all'improvviso. Pochi passi, ma fatali.

E non accenna a placarsi la polemica sulla presenza del bambino a caccia grossa. La divisione è netta: da un lato, chi condanna aspramente la vicenda (ecologisti in prima linea), dall'altro chi la giustifica, come il politico Ignazio Artizzu e l'antropologo Bachisio Bandinu.

In nome di una tradizione culturale che porta il nome di cassa manna.