"Da ben cinque giorni i sardi che si informano sulla Rete sanno che Amazon aprirà una sua sede nell’isola, con una ricaduta stimata di circa 600 nuovi posti di lavoro. È una notizia, vero? L’hanno riportata (cito in ordine sparso) CagliarIpad, Sardinia Post e il sito di Radio Press. I sardi che si informano solo leggendo i quotidiani locali questa notizia invece non la conoscono, perché l’Unione e La Nuova continuano incredibilmente a ignorarla. Ce l’hanno con Renato Soru che l’ha resa pubblica in un convegno a Lodine? L’hanno verificata, hanno scoperto che non è vera e non vogliono sputtanare Soru? Oppure pensano che semplicemente non sia una notizia? Sia come sia, di Amazon in Sardegna l’Unione e la Nuova non ne parlano.
Per quale motivo l’Ordine dei Giornalisti e l’Associazione della Stampa (il nostro sindacato unitario) continuano a fare convegni e incontri per mettere tutti i guardia dalle insidie dell’informazione on line, e non ci spiegano invece come mai nei templi del giornalismo sardo si possano ignorare notizie così? E il caso Amazon, credetemi, è solo l’ultimo della serie.
***
Il mondo sta cambiando, tutto sta cambiando e non volete che cambi anche il giornalismo? L’importante è accorgersene. Ma non è solo l’impatto delle nuove tecnologie a mettere in difficoltà i giornali di carta. Anzi.
Da oltre un decennio l’informazione è diventata una merce come le altre. I grandi gruppi editoriali hanno gonfiato a dismisura i giornali, che hanno raggiunto foliazioni inimmaginabili sino a qualche tempo fa, trasformandosi in grandi contenitori di notizie e di pubblicità. Al quotidiano si aggiungono dorsi, inserti, riviste. I giornalisti solo in minima parte devono cercare le notizie, perché il loro compito è soprattutto quello di titolare, impaginare e “passare” i pezzi dei collaboratori, i paria della professione pagati pochi euro a pezzo e che sono alla base della grande catena alimentare del giornalismo. “Alimentare” perché grazie ai giornalisti sfruttati mangiano tutti, soprattutto gli editori.
Le notizie dunque si moltiplicano, ma a differenza di una volta i giornalisti non devono più cercarle: ce ne sono talmente tante che il loro compito oggi è soprattutto quello di selezionarle, di sceglierle. Vorrei dire anche di schivarle, visto che le nostre caselle di posta elettronica assomigliano sempre di più a delle schermate di agenzia di stampa. Siamo bombardati dalle notizie, inseguiti, braccati da loro. E per un giornalista che sta in un giornale tradizionale tempo per cercarne di nuove quasi non ce n’è.
Per cui i quotidiani si espandono e si gonfiano, ma paradossalmente nelle redazioni il numero dei professionisti assunti in pianta stabile diminuisce. D’altra parte, i pezzi messi in pagina sono sempre più brevi, spesso sono “copia e incolla” di comunicati stampa o di agenzie, gli approfondimenti e le inchieste originali sono quasi inesistenti perché non sono funzionali a questo modello di informazione. E d’altra parte, gli schiavi sono sempre lì a costruire la piramide, a riempire pagine praticamente a costo zero…
Così il livello dei quotidiani inesorabilmente si abbassa. La qualità dei singoli pezzi è spesso scadente. Perché il giornale è un mostro che esige il suo tributo di titoli ogni giorno. Perché ogni giorno, in un qualunque quotidiano locale, bisogna titolare centinaia di notizie scritte chissà dove e chissà da chi. Le opinioni invece vengono appaltate ad esperti, in genere docenti universitari e scrittori famosi che si ergono a tuttologi. È il loro nome che interessa, che deve fungere da richiamo: se mandassero i loro editoriali senza la loro firma in calce, nessun quotidiano li pubblicherebbe. Perché nessun lettore li leggerebbe tanto sono scadenti.
Così oggi titolare, impaginare e confezionare il prodotto è diventato più importante del prodotto stesso. Una routine tremenda, appena mitigata dalla ferrea convinzione dei giornalisti “tradizionali” della giusta immutabilità del loro mondo. Il prestigio delle loro testate li rassicura, l’ammontare dei loro integrativi li inorgoglisce. Niente e nessuno può scalfire le loro convinzioni. Perché loro sanno che il punto di forza del loro prodotto è insuperabile e consiste nella straordinaria quantità di notizie presenti in ogni singolo numero di giornale. Sotto questo aspetto, sono imbattibili. La loro rendita di posizione è impressionante, visto che sarebbe impossibile oggi trovare le risorse per creare un prodotto in grado di fare loro concorrenza. Chi ci ha provato, ha pagato a caro prezzo questa hybris, questa superbia.
E così, in preda a questa febbre di onnipotenza, non pochi giornalisti tradizionali pensano di poter andare contro le regole stesse della professione. Che sono poche e chiare: cercare notizie e darle subito, prima di tutti gli altri. Lentamente, i giornalisti tradizionali pensano che il mondo è solo quello che loro raccontano ai loro lettori. Se decidono di non dare una notizia, pensano che quel fatto non sia mai avvenuto. I loro giornali sono potenti, i loro stipendi impressionanti. Dall’alto di questa esaltazione non è difficile arrivare a credere che per molti di questi giornalisti trovare notizie e darle subito, prima degli altri, non sia più un imperativo assoluto della loro professione. No: la notizia può aspettare. Peccato che i barbari premano alle frontiere.
***
I barbari sono quei giornali on line, quei blogger che sempre più spesso su singoli temi e su questioni specifiche riescono ad informare meglio dei quotidiani tradizionali. Perché non hanno l’obbligo di titolare una mole impressionante di notizie e si possono concentrare su poche questioni che seguono con grande professionalità. E la loro attendibilità cresce grazie ai lettori che sono in grado di valutare appunto la qualità delle notizie che danno.
Sotto questo aspetto, bisogna sfatare un mito. L’attendibilità delle notizie on line è sempre valutata dai lettori, quella dei giornali tradizionali no. Perché sulla rete i lettori interagiscono, criticano e smontano ogni informazione. Con i giornali tradizionali nessuna interazione è possibile. E non a caso, se quel famoso giornalista dell’Unione Sarda non avesse preso una foto da internet per corredare il suo pezzo falso sul pensionato che rubava in un market, forse nessuno si sarebbe accorto di niente.
I giornalisti on line devono dunque non solo scegliere le notizie ma anche trovarne di nuove, e soprattutto devono pubblicarle nel più breve tempo possibile. Così come si è sempre insegnato, chi arriva prima vince. In questo modo mettono ovviamente in crisi crisi i giornali tradizionali. Che non approfondiscono più niente, che non interagiscono con i lettori, che fanno tutto e male mentre tanti siti fanno poco e bene.
Il giornalismo sardo è in crisi perché vive un momento di transizione, governato com’è da professionisti formatisi in lontane ere geologiche, incapaci di innovare il qualunque modo il loro prodotto, svilito a semplice contenitore di notizie e non più prodotto culturale. Intanto i giovani (sempre più preparati professionalmente) cercano nuovi sbocchi e premono come i barbari ai confini dell’impero. Alla fine vinceranno. Perché oggi fuori dai giornali “che contano” c’è una nuova generazione di giornalisti capaci di accettare ogni sfida, e spesso molto più bravi dei loro colleghi che scrivono sui quotidiani “importanti” e che dileggiano i loro colleghi, definendoli “orfanelli del giornalismo”. Come se il giornalismo vero fosse solo il loro. Per carità.
Questo è il futuro, che ci piaccia o no. I quotidiani tradizionali sono in crisi non solo per colpa delle nuove tecnologie ma soprattutto perché pensano di non dover più trovare notizie e darle subito. Se a loro sta bene così, se vogliono continuare a proporre un giornalismo datato e scadente peggio per loro. Io sto con i barbari.
***
Ho voluto fare questa breve riflessione perché ieri CagliarIpad ha inaugurato il suo nuovo portale: ai colleghi e al direttore Guido Garau rivolgo tutti i miei più sinceri auguri. E un grande in bocca al lupo anche a Casteddu On Line che nei prossimi giorni rinnoverà il suo sito".
Vito Biolchini