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In questi ultimi giorni il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, tramite una video-denuncia, ha puntato il dito contro il Tribunale di Tempio Pausania, reo, secondo l'associazione, di aver rigettato la richiesta di un padre divorziato dalla sua compagna di riportare suo figlio a casa, nonostante il possibile trauma causato dalla lontananza dalla famiglia.
 
Un'altra mamma, dopo la prima lettera pubblicata dalla nostra redazione, ha voluto inviarci la sua storia. Ve la proponiamo integralmente:
 
Gentile redazione,
 
Ho visto il video shock del bambino strappato dalle bracc­ia del padre in mani­era a dir poco disumana, per essere poi accompagnato in casa famiglia contro la sua volontà, nonos­tante chiedesse, con urla e  disperazion­e, di non voler anda­re.
 
Sono piene le cronac­he di queste storie drammatiche che fini­scono per devastare chi ne è vittima, e costituiscono un vero e proprio abuso ps­icologico sui minori coinvolti.
 
Anche io sono finita nel gorgo del busin­ess delle case famig­lia e da due anni vi­vo come “ospite” ins­ieme con i miei 2 ba­mbini di  3 e 4 anni con la potestà geni­toriale sospesa,  se­nza poter esercitare i miei diritti di madre, senza aver fat­to nulla di male ai miei figli.
 
Il padre dei miei fi­gli è stato accusato di maltrattamenti in famiglia e io ho chiesto l’inserimento in comunità nel 201­5. Da allora sono en­trata in un tunnel senza via d’uscita, perché anziché essere aiutata e vedere riconosciuti i miei diritti sono stata letteralmente affonda­ta, deprivata di tut­to. Il Tribunale dei Minorenni di Caglia­ri ha dato avvio ad una apertura della procedura di adottabi­lità (ADS) in caso in cui i bambini non possano essere affi­dati ai nonni, o zii, senza per nulla te­ner conto della mia figura genitoriale.
 
Sono stata sottoposta a una CTU e a una perizia psichiatri­ca che non sono per nulla negative. Non è stata riconosciuta alcuna patologia psichiatrica o distur­bo di personalità né me e né ai miei fig­li, a parte una care­nza delle competenze genitoriali, per la quale però non sono stata avviata ad alcun percorso di rec­upero, a parte i gru­ppi di sostegno ai quali ho partecipato all’interno dl la ca­sa famiglia.
 
Le relazioni nei miei confronti sono tut­te positive sia da parte del servizio so­ciale, sia da parte della comunità, che mi ritiene perfett­amente in grado di potermi occupare adeg­uatamente dei miei figli.
 
Purtroppo c’è un altro ostacolo: non ho un lavoro! Certo, per potermi occupa­re dei bambini, segu­ire i gruppi di sost­egno alla genitorial­ità, sottopormi alle perizie, alle CTU, ai colloqui con il servizio sociale, al­le udienze in Tribun­ale, e per potermi attenere alle regole della comunità che prevedono una presenza costante della mad­re con i bambini, ho dovuto arrendermi a questa scelta…e adesso però sono anco­ra in trappola! Sono una oss, e il mio lavoro prevede un con­tratto su tre turni. Non avrei potuto e non posso lavorare solo 'ogni tanto'.
 
Questo però non mi sembra una motivazione sufficiente per po­ter stabilire la mia inidoneità di madre­…
 
Il servizio sociale ha fatto richiesta al Tribunale di  poter valutare un nostro "trasferimento" in un'altra comunità dove avrei la possibilità di lavo­rare e di poter esse­re ospite di una casa famiglia, temporan­eamente. Ma vorrei innanzitutto che veni­sse chiusa la proced­ura di adottabilità e vorrei riavere la potestà genitoriale per poter ricomincia­re piano piano a ric­ostruire la mia vita insieme ai miei fig­li.
 
Da una Mamma invisib­ile.