In Evidenza Martina Carone: “Le donne nelle istituzioni? Sono poche e isolate”

Martina Carone: “Le donne nelle istituzioni? Sono poche e isolate”

Martina Carone è consulente in comunicazione e una delle figure di spicco dell’agenzia Quorum/YouTrend: con lei proviamo a riflettere sulla situazione politica attuale e sul ruolo della donna

Crediti foto: YouTrend

Nonostante l’Italia e la Sardegna abbiano conosciuto la prima donna a capo del governo (nazionale e regionale), la rappresentanza femminile nelle istituzioni rimane limitata, così come l’interesse generale nei confronti della politica.

Martina Carone è consulente in comunicazione e una delle figure di spicco dell’agenzia Quorum/YouTrend.

Si è occupata di campagne elettorali, ha curato saggi di comunicazione politica e provato a delineare un quadro ben definito sull’attività e il coinvolgimento delle donne nei ruoli istituzionali.

Insieme a lei proviamo a fare una riflessione sulla situazione politica attuale e sul ruolo della donna.

A che punto è l’Italia dal punto di vista politico? Che quadro ci restituiscono le elezioni regionali e quanto influiscono sul contesto nazionale?

Le elezioni regionali sono state tanto attese quanto prive di vere sorprese. Finora sono stati confermati tutti i presidenti uscenti, e nella regione che sembrava più in bilico (le Marche) ha vinto piuttosto nettamente il centrodestra, che del resto sul piano nazionale dal punto di vista dei consensi è decisamente più “in forma” delle opposizioni. Per questo motivo, non credo che influiranno più di tanto sul contesto nazionale: la maggioranza di Governo guidata da FdI va avanti sostanzialmente senza scossoni, mentre l’opposizione deve ancora trovare una sua identità. Un’alleanza ampia è un requisito necessario, ma non sufficiente per essere competitivi.

A che punto è il Campo Largo? Funziona l’alleanza o ha necessità di ulteriori approfondimenti?

Finora l’alleanza ha “funzionato” in alcuni casi, da ultimo in Toscana, ma prima anche in Sardegna e Umbria, rilanciando un po’ le quotazioni dell’opposizione, che ora almeno sa di potersela giocare in termini di consenso con il centrodestra, soprattutto in certi contesti. Quello che manca ancora sul piano nazionale è una leadership autorevole, riconosciuta come tale da tutte le componenti, e un messaggio forte. Cosa farebbe l’attuale opposizione se domani andasse al Governo? Se lo chiedessimo agli italiani, penso che ben pochi saprebbero rispondere. Questa dovrebbe essere la loro priorità: chiarire una visione, più che sommare sigle.

Il centrodestra rimane saldo e soprattutto FdI conserva un vantaggio importante. Quanto potrebbe pesare però il momento della Lega, a metà tra Salvini e Vannacci?

Finora le vicende interne alla Lega, tutt’altro che pacifiche, non hanno avuto un impatto sulla maggioranza nel suo complesso. Hanno però messo Salvini nella condizione di dover giocare all’attacco, su certi temi, per rivendicare una visibilità che l’ascesa di Meloni ha inevitabilmente ridimensionato. È come se la Lega stesse cercando di ridefinire la propria identità, oscillando tra il partito di governo e quello di protesta: un equilibrio difficile da mantenere, specie in vista delle prossimeelezioni politiche.

Tema donne: per le elezioni provinciali sarde, ad esempio, nessuna sindaca è stata candidata come presidente. Perché accade?

Non è un caso, purtroppo: è il riflesso di un problema strutturale che attraversa tutta la politica italiana. Le donne che arrivano ai vertici delle istituzioni locali sono ancora poche, e spesso più giovani e più istruite dei colleghi uomini. Questo però non le mette al centro dei processi decisionali: restano più isolate, meno sostenute dai partiti e più esposte ad attacchi personali. Il risultato è che le candidature femminili ai livelli più alti (come le presidenze di provincia o di regione) restano l’eccezione. È una questione di cultura politica, ma anche di accesso: finché i partiti non investiranno davvero sulla costruzione di leadership femminili, continueremo a vedere donne invitate a partecipare, ma raramente messe nelle condizioni di guidare.

Da qui al 2027 emergeranno nuovi profili, sia maschili che femminili, in vista delle elezioni?

Spero di sì, e anzi lo considero necessario. Il quadro politico attuale è ancora fortemente ancorato alle figure della stagione del 2022, ma nel frattempo il paese è cambiato. Ci sono generazioni nuove che stanno crescendo dentro le amministrazioni locali, nei movimenti civici, persino nei contenuti digitali che raccontano la politica. Penso emergeranno figure più competenti nella comunicazione e più consapevoli del valore del linguaggio, perché la credibilità oggi si costruisce tanto sul “fare” quanto sul “modo di raccontarlo”. Sarà interessante vedere se, tra queste nuove figure, le donne sapranno conquistarsi non solo spazio ma anche autorità.

Chi è la “candidata vincente”?

È quella che riesce a essere credibile senza dover per forza imitare modelli maschili. Che conosce le regole della politica ma non le subisce, che costruisce consenso attraverso la competenza e l’ascolto, non con l’aggressività. È quella che non ha paura di mostrarsi per ciò che è, perché sa che la leadership non è una questione di tono di voce, ma di visione. Nel mio libro La candidata vincente cerco di raccontare questo: non una sola donna, ma molte che, ognuna a modo suo – da Sanna Marin a Hillaru Clinton, da Elly Schlein ad Angela Merkel, fino alle tante politiche italiane che hanno fatto politica “senza permesso”- hanno cambiato le regole del gioco.

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