In Evidenza Mario Manca: “Essere sinceri nelle opinioni è un valore aggiunto”

Mario Manca: “Essere sinceri nelle opinioni è un valore aggiunto”

Serie tv, programmi, film cinematografici, musica: non c'è un settore dove non ci sia la sua firma. Il giornalista di Vanity Fair racconta il suo rapporto con la Sardegna, i giudizi e il suo lavoro

(Foto credit: Joseph Cardo)

Serie tv, programmi, film cinematografici, musica: non c’è un settore che riguardi il tempo libero dove non ci sia la firma di Mario Manca. Giornalista e scrittore, con un seguito importante sui social, è una delle figure di riferimento di Vanity Fair.

Cognome sardo, ma è nato e cresciuto a Bari, prima di salire a Milano. “Lo so, ci rimangono malissimo i personaggi sardi che mi ritrovo ad intervistare. Probabilmente ho origini lontane con la Sardegna, qualche trisavolo” racconta, nel momento in cui gli chiedo se le origini possono legarlo in qualche modo alla Sardegna.

L’unica Sardegna che ha vissuto, finora, è stata però la Costa Smeralda. Per lavoro. “Ma un giorno voglio venire in vacanza”, assicura. Oggi, intanto, la sua professione lo ha portato a Miami.

Da piccolo pensavi di diventare un giornalista?

In realtà, no. Il giornalismo è qualcosa che è arrivato molto in là con la vita. Quando ero bambino mi piacevano tante cose diverse. Mi piaceva scrivere, pensare ad alcune storie. Ma mi vedevo più come scrittore. Magari avendo la passione per il cinema, mi vedevo anche come sceneggiatore. Però il giornalismo è arrivato per caso.

In quale momento ti ha cambiato la vita?

È arrivato verso gli anni dell’università, durante la laurea specialistica a Milano. Mi stavo specializzando in televisione e cinema. Pensavo che scrivere alcuni articoli che riguardassero quel mondo potesse aprirmi delle porte per entrare nel mondo del giornalismo. Ho iniziato a fare diverse collaborazioni con alcuni blog di televisione e cinema. Vedevo che mi piaceva. Analizzare dal punto di vista critico le serie tv e i programmi televisivi e i film era qualcosa che mi interessava. Il lavoro è coinciso con una passione.

Oggi in tanti si atteggiano a tuttologi, com’è difficile mantenere un rapporto con gli altri?

È vero, oggi sono tutti un po’ tuttologi. Quello che si può fare è avere un po’ un distacco. Nel senso che: io penso che tutti possano esprimere una opinione. Poi certo, chi è specializzato su certe discipline ha più mezzi e più strumenti per poterli analizzare. Il diritto di parola però è sacrosanto. Da qui a trasformare un opinione in un imperativo, ce ne passa. A me capita di vedere delle persone che più che esprimere una opinione, esprimono delle sentenze. Lì un po’ mi spavento. Io che potrei essere esperto di tante cose, metto anche sempre tanti dubbi. Magari il giornalista in sé non è detto che abbia le risposte che tutti cercano. Ma può fare le domande giuste. L’approccio più sano sui social dovrebbe essere questo: che tutti si facciano delle domande e alla risposta si arrivi insieme. Basta che non ci sia la presunzione di aver ragione per partito preso. Perché li, e vale anche per i giornalisti, è una battaglia persa in partenza.

Quindi è capitato di cambiare idea su situazioni che avevi già analizzato?

Sì. Tante volte. Magari le cose che uno guarda o legge dipendono dal periodo in cui è. Se sei in un periodo di fragilità, alcune cose possono sembrarti bellissime o bruttissime. Poi se le rileggi o riguardi, scopri tutt’altro. Penso sia la cosa più bella. Vuol dire che cresciamo noi e cresce la nostra sensibilità.

Un giudizio è dato soprattutto dai gusti o ci sono dei fattori che un giornalista segue per dare quantomeno un giudizio più oggettivo?

C’è una oggettività che deve essere riconosciuta. Ma nel corso della stesura un gusto per una forma penso ci debba essere. Certo, ci sono film o programmi televisivi che non incontrano il mio gusto, ma non posso non riconoscerne la qualità. È ovvio che tutto ciò di cui scriviamo è filtrato dalla nostra esperienza e dal nostro gusto. Visto che non parliamo di cose delicate, ma di “nani e ballerine” come dicevano negli anni 70, un gusto si può esprimere. Sempre nel rispetto delle parti coinvolte. Non sono mai stato un fan della stroncatura. Per me è una grande mancanza di rispetto. Bisogna sempre considerare che dietro un film, un programma o una serie o un album discografico c’è il lavoro di tantissime persone. La superficialità con cui tu puoi demolire un lavoro in una manciata di righe è agghiacciante. Può non piacermi, non risultare oggettivamente perfettamente riuscito. Ma bisogna invece chiedersi cosa si potesse fare diversamente. Così che il lettore e chi ha lavorato al prodotto possa farsi delle domande. Penso sia più costruttivo.

Ha fatto parlare tanto, ad esempio, il tweet di Antonella Clerici, che ha stroncato il film premio Oscar, “Anora”. È stata sorprendente. In certi casi per alcuni è vantaggioso essere netti, magari divisivi, nei giudizi?

Secondo me, sì. Avere una sorta di sincerità nell’esprimere una opinione è un valore aggiunto. Il sistema però ci dice che non è così. Le persone che sono più protette, è chiaro che siano meno esposte a certe critiche. Da una parte è più furbo. Però apprezzo le persone che si mettono in gioco. Dimostrano di avere una voglia di condividere.

Giudichi tante cose per il tuo lavoro. Com’è la tua giornata tipo?

La mattina guardo le notizie più calde che io penso debbano essere date al più presto. Poi le suggestioni che ho durante la giornata le propongo al giornale. E si trova una quadra per poterle realizzare. Ho la fortuna di occuparmi di un ambito che mi piace molto. Non mi pesa guardare film o programmi, o leggere libri. Sono comunque stimoli che mi piace affrontare. Tutto ciò che reputo interessante, anche ciò che non mi piace, è uno spunto da approfondire. È tutto molto in fieri. Il giornalismo non si può pianificare.

Hai mai fatto arrabbiare qualcuno?

Sì, ho fatto arrabbiare più di qualcuno.. (ride, nda). È capitato che ci fossero artisti che non gradissero delle cose. Non sono mai stato querelato. Vuol dire che siamo rimasti sempre su un binario di civiltà, come dovrebbe essere. Certi scambi potrebbero anche essere costruttivi. Quando sono legati al non voler essere criticati a prescindere, dispiace. Fai un lavoro che ti sei scelto, fa parte di una esposizione pubblica, va da sé che le persone possano dire la propria su quello che fai. Se non avessero voluto problemi, magari avrebbero potuto scegliere un altro mestiere.

Hai fatto tantissime interviste. Chi è il personaggio pubblico che ti ha coinvolto maggiormente?

Mi ha emozionato molto Piero Angela. L’ho intervistato nel 2020, telefonicamente. Ero abbastanza emozionato quando mi è stato proposto. Avevo paura perché era un personaggio che aveva già rilasciato tantissime interviste. Hai paura di fare sempre le stesse domande. Il giorno prima avevo recuperato la sua autobiografia, che aveva pubblicato molti anni prima e su storie di cui non sapevo assolutamente nulla. Quando gli feci l’intervista, tirai fuori diverse domande legate a momenti della sua vita, tratti proprio dall’ autobiografia. Lui rimase molto sorpreso. Si aprì tantissimo, la conversazione durò un’ora e mezza. Era già abbastanza anziano, tanto che pensavo si stesse affaticando. Mi disse una frase che mi è rimasta impressa: lei ha perso tempo a leggere una mia autobiografia, il minimo che possa fare è stare a sua disposizione finché lei lo vorrà. Fu una cosa che mi ha molto commosso.

Hai dei progetti nel cassetto?

Mi piacerebbe scrivere un libro. Ho un progetto in testa da diversi anni. È una sfida con me stesso, ho un po’ di paura di confrontarmi con una cosa abbastanza grande. Anche perché non sempre chi è un giornalista può essere un bravo scrittore. E può valere anche il contrario. È un passaggio che mi piacerebbe fare. Quando avrò abbastanza coraggio, penso uscirà.

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