Cambiare non è da tutti. Ad un certo punto, compiuti 40 anni, Alessandro Spedicati ha capito che la quotidianità e il modello di vita che lo travolgeva ogni giorno non era più una normalità accettabile.
Era il 2015, era il frontman di una band molto apprezzata (i Sikitikis) e aveva appena festeggiato il compleanno. Dieci anni dopo è sposato, ha una figlia piccola e vive in campagna, nel Sinis. Sui social (non ironicamente) la definisce “una vita quasi country”.
E spiega, video dopo video, i lati belli e meno belli di un nuovo modo di vivere. Una prospettiva ribaltata, raggiunta con coraggio, determinazione, fatica ma anche paura.
Chi ti sta vicino come ha accolto questo cambiamento?
Se mia moglie Annalisa non avesse sposato non solo me ma anche questo sogno.. penso che le persone si trovino perché ci sono delle affinità di base importanti. Quello che ci ha portato qui sono una serie di valori e convinzioni che hanno a che fare con un visione del mondo, non solo della vita. Quasi una visione politica. Di come l’essere umano dovrebbe vivere. Questa visione comune ha reso più facile la scelta. Allo stesso tempo l’idea di fare una famiglia non era contemplata in quel momento, poi è arrivata la notizia della gravidanza e allora abbiamo capito che quello che stava succedendo aveva un significato ancora più grande. Prendersi la responsabilità di crescere una bambina in un contesto del genere, anche contro il parere di molte persone.. Noi siamo abbastanza convinti e valutiamo il nostro benessere, che in questo momento è ai massimi storici. Non siamo mai stati così bene.
Ti manca la città?
Per niente. Quei due giorni alla settimana in cui devo andare a Cagliari per lavoro, devo dire, mi irritano. La città mi irrita, tante macchine, troppe persone. Quello che spero che accada nel tempo è di godere di quei giorni. È bello anche tornare come ospite. E magari me la farà ri-amare. Negli ultimi anni il mio amore è venuto sempre meno. Mi dispiace, ma non l’ho trovata più a mia misura. Probabilmente siamo cambiati tutti e due.
Cosa ti ha insegnato questo cambiamento?
Ero una persona che voleva realizzare tutto, e in fretta. Ho sempre avuto poca pazienza nel realizzare le cose. Qui i tempi te li impone la stagione. Vuoi realizzare un piccolo lavoro nell’orto o una tettoia per la legna? Devi aspettare. Devi aspettare che il tempo sia buono, che sia il momento giusto per farlo, che le piante crescano, che arrivi il momento per potare e poi per raccogliere. Devi guardarti intorno, osservare. E poi mi ha insegnato una cosa bellissima: non sempre la comodità è un obiettivo vincente. Sto godendo delle scomodità. Per esempio: per buttare la spazzatura devo fare una stradina di 50 metri che va da casa al cancello. Quasi sempre di notte, ogni giorno, con vento, pioggia o caldo. E poi ritornare a casa. Mentre a Cagliari fare un piano di scale mi irritava, qui è diventato un momento per me. Dove guardo il cielo. Vedo le stelle. La campagna mi sta insegnando a guardarmi intorno e a prendermi dei momenti per me.
A un lato, però, il passato bussa ancora. È bastata una foto coi compagni di band per far andare in fibrillazione centinaia di persone. Che non vedono l’ora di rivederli, tutti insieme, sul palco. A cantare e saltare canzoni che hanno saputo raccontare un’epoca ben precisa, con suoni nuovi. Arrivando in radio e in televisione con buona frequenza. E Alessandro ritorna, per qualche istante, solamente “Diablo”.
Hai ripreso a scrivere e a suonare?
Scrivere no. Ho sempre la chitarra a portata di mano e quasi tutti i giorni mi prendo 15-20 minuti per sentirne il suono. È una cosa che mi piace tantissimo. Vorrei comprarmi una chitarra elettrica per suonare un po’ di blues all’aperto. Approfittando del fatto che qui sono isolato e posso ascoltare il suono che va nell’aria a volume anche abbastanza alto. Però non scrivo più. Invece la scrittura per me è una cosa molto seria, una attività molto immersiva. E le attività immersive ti distraggono da cose che al momento sono più importanti: la casa, la famiglia, il lavoro. Se oggi dovessi scrivere, lo farei in maniera superficiale, non profonda come piace a me. Preferisco non scrivere.
Lo chiedo diretto: stanno tornando i Sikitikis?
Tu sei diretto e io sono sincero: l’intenzione ci sarebbe. Ci sarebbe l’intenzione soprattutto quest’anno che è il 25esimo anniversario della nostra nascita. È il 20esimo anniversario dal nostro primo disco e il decimo anniversario dall’ultimo, uscito nel 2015. Però ci sono delle cose con cui fare i conti, anche complicate. Si tratta di rimettere in moto una macchina con 5 persone che adesso hanno una loro vita, altri ritmi. Non hanno i Sikitikis come priorità assoluta. Per fare le cose bene bisogna immergersi. Non sempre è fattibile. Ora ci stiamo incontrando spesso come amici. Ogni mese facciamo in modo di vederci. Stiamo mettendo in cantiere progetti di altra natura con Jimi, più divulgativa. Salire sul palco sarebbe bello, ma non posso assicurare che avverrà. L’intenzione, la voglia e il piacere ci sono. Ma ci devono esserci tutte le condizioni.
In questi anni in cui non siete stati sul palco, in quanti ti hanno chiesto: ma quando tornate?
Un’infinità. Con mia grande sorpresa, anche. Sono sempre stato convinto che viviamo tempi in cui le cose durano poco. Se non ci sei, non stai battendo il ferro, le persone ti dimenticano. Sono stato smentito. Più è passato il tempo, più ho sentito in maniera profonda l’affetto delle persone. Questo mi ha colpito ed è uno dei motivi per cui sarebbe carino festeggiare sul palco questo compleanno. Veramente, è commovente. Sembra che non sia passato un giorno dall’ultima volta in cui siamo saliti su un palco. Questo fatto mi sta facendo rivalutare l’importanza di quello che abbiamo fatto e cosa siamo stati per le persone. Quando sei sul palco, non ti rendi conto. Sto rivalutando ora, che qualcosa di genuino lo abbiamo creato. Ho 50 anni e ripensare ai 20 anni dei Sikitikis mi fa un grande piacere.
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