L’Epifania, celebrata il 6 gennaio, è una festività cristiana che commemora l’adorazione dei Re Magi, giunti dall’Oriente a Betlemme con doni per Gesù bambino: oro, incenso e mirra. Col tempo, questa celebrazione si è intrecciata con la figura popolare della Befana, una vecchietta che, volando su una scopa, distribuisce dolci o carbone ai bambini.

In Sardegna, però, l’associazione con la Befana è un fenomeno recente. Francesco Alziator, autore di “La città del sole” e profondo conoscitore delle tradizioni locali, sottolinea che l’Epifania è “una festa di evidente origine non indigena, che ha sommerso le tradizioni locali”. La Befana sarebbe nominata come “Sa femmina eccia” o “Sa baccucca eccia”, che in ogni caso non ha niente a che vedere con la tradizione locale.

Tuttavia, l’Epifania era già una ricorrenza importante nell’Isola durante il Medioevo. Un celebre passo della “Carta de Logu” di Eleonora d’Arborea menziona questa festività: “Sa pasca de sa epiphania si clamat pasca nuntza”. E se il nome “pasca” in sardo significa festa, il termine “nuntza” si riferisce all’annuncio che “i tre re” diedero al mondo circa l’avvenuta nascita di Gesù bambino.

Inoltre, il 6 gennaio era tradizionalmente il giorno in cui venivano comunicate le date delle feste mobili, come la Pasqua, conosciuta in Sardegna come “Sa Pasca Manna”. Con l’influenza catalana, questa festività si legò alla “fiesta de los tres Reyes Magos”, ancora oggi centrale in Spagna. Da qui derivano espressioni sarde come “Sa Pasca de is tres Reis” o “Pasca de sos tres Rese”.

In Sardegna, pur senza parate dei Magi come in Spagna, si è mantenuta la tradizione del “dolce dei tre re”. Simile al “roscón de Reyes” spagnolo, il dolce sardo include piccoli doni simbolici: una fava, un fagiolo e un cece nascosti nell’impasto dolce, lungo lievitato. Chi li avesse trovati avrebbe goduto di fortuna e prosperità per l’anno, con abbondanza di grano, uva e olive.

In altre parti dell’Isola, infine, era molto diffusa la tradizione di andare casa per casa a chiedere le strenne. Erano i bambini e i ragazzi adolescenti che andavano a bussare alle porte del paese chiedendo il permesso di intonare il canto de “Sos tres rese”. Dopo la “performance”, ricevevano in dono frutta secca, dolci e, quando capitava, anche qualche moneta. E a chi non apriva la porta, veniva intonato un canto di malaugurio.

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