Si dice che Ilenia Zedda abbia una “scrittura che vibra di una delicatezza rara”. Ed effettivamente, a leggere le sue storie, si vede un viaggio, uno svolazzo, che non scorda mai il proprio vissuto e le radici.

Con Nàccheras aveva sorpreso un po’ tutti. Lei, giovane copywriter con studi alla scuola Holden di Torino (un sogno ad occhi aperti per gli amanti della narrazione sorto da una idea di Alessandro Baricco), era salita agli onori della cronaca come rappresentante di talento di una nuova generazione di scrittori sardi.

La sua seconda opera (“Se mi guardo da dentro”) non solo ha confermato le buone sensazioni dell’esordio, ma ha stampato su carta una certa dose di maturità letteraria.

Che periodo è questo della tua vita?

Abbastanza prolifico: scrivo, insegno, vivo.

In tanti chiederebbero se hai mai sognato di diventare una scrittrice. Ora che ci sei, ti calza bene addosso?

Provo ancora un po’ di vergogna quando qualcuno mi dà questo appellativo. È il mio lavoro, ma amo la sua dimensione intima.

Hai avuto qualche delusione, all’inizio, riguardante un tuo racconto o un tuo scritto?

Nessuna delusione, ho sempre e solo imparato dagli errori.

Cosa ti ha lasciato Nàccheras?

Una dolce idea di fanciullezza, un bel po’ di lettori che mi vogliono bene e a cui voglio bene. Una vittoria, insomma.

Che cos’è l’amore e come lo racconti nel tuo secondo libro?

Beh, come racconto in Se mi guardo da dentro, l’amore è una questione abbastanza inspiegabile, bisogna solo viverne gioie e dolori; raccontarne la luminosità ed elaborare il buio. Insomma, è sapersi tenere la mano in ogni occasione.

Se i tuoi libri avessero un suono e fossero una canzone, quale sarebbe (o sarebbero) la più adatta?

In realtà c’è una playlist su Spotify che può rispondere a questa domanda. Cito le prime tre: sono “Kiwi” di Calcutta, “Hey Tu!” dei Sikitikis e “My Number” dei Foals.

Credi che la letteratura sarda attuale possa essere portatrice di storie anche per l’audiovisivo (cinema, serie tv)?

Perché no? In realtà ognuno di noi, scrittori dell’isola, ha un suo immaginario che è molto affine al mondo audiovisivo. E probabilmente anche un derivato del nostro isolamento, del nostro sognare dentro e fuori, vicino e lontano dal mare.

Se dovessi consigliare un autore o una autrice (oltre te) da cui prendere spunto per iniziare a scrivere, chi è cosa consiglieresti?

Ne ho tre: una è Elena Ferrante, l’altra è Bianca Pitzorno e il terzo è Philip Roth.

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