Il dibattito sull’energia ha inevitabilmente monopolizzato la scena, ma le problematiche da affrontare per la Regione sono tante. Tra queste, quello che per la presidente dell’Anci Daniela Falconi resta il cuore di tutti i problemi: lo spopolamento.
Da ora in poi servirà anche un cambio di passo per poter affrontare con urgenza questa delicata tematica, con la speranza che possa generarsi un effetto a ‘cascata’ che influisca successivamente su tutti gli altri problemi che ronzano attorno.
In primo luogo, un commento sull’approvazione del Disegno di Legge sulle Aree idonee, perché come Anci avevate chiesto di rivedere alcune prerogative.
Intanto adesso aspettiamo per vedere gli effetti, perché comunque in Sardegna il Consiglio regionale con senso di responsabilità è andato avanti. Vediamo un po’ se effettivamente questo disegno di legge non viene impugnato e quindi sortisce veramente gli effetti per cui è stato scritto, cioè quello di fermare le speculazioni e quello di garantire una transizione energetica giusta. Noi come Anci avevamo chiesto fondamentalmente questo. Quindi c’è soddisfazione da un lato e dall’altra parte però dobbiamo capire se questa cosa va comunque in porto. Noi avevamo chiesto una partecipazione importante dei territori, che in parte c’è stata perché si sono svolti gli incontri con i sindaci, in cui di fatto potevano partecipare il sindaco e un tecnico o un delegato o un’altra persona. D’altro canto, noi avevamo chiesto degli incontri un po’ più importanti con i territori. Però c’era la fretta, c’era la paura di non riuscire a raggiungere in tempo l’obiettivo e quindi quello che noi abbiamo chiesto poi alla fine non si è verificato. Mi chiedo, visto che comunque c’è stata una proroga a marzo, se comunque si sarebbe potuto fare perché il governo ha concesso di aspettare fino a marzo per l’approvazione dei disegni di legge in tutte le regioni d’Italia per le aree idonee. La Sardegna ha deciso di arrivare per prima, è comunque un buon risultato, adesso aspettiamo. Noi continueremo a vigilare e a fare l’interesse dei comuni e dei territori.
Forse a pesare è stata proprio questa fretta, questo voler arrivare per prima da parte della Sardegna. Perché magari in altri contesti si è sentita un po’ indietro.
Sono stata a Torino per l’Assemblea nazionale di Anci e ho parlato con i colleghi Presidenti di altre regioni che hanno più o meno lo stesso problema. Penso alla Toscana, al Piemonte, alla Puglia: tutti quanti stanno ponendo il problema del disegno di legge sulle aree idonee delle loro rispettive assemblee regionali e tutti quanti più o meno dicono ciò che si dice anche in Sardegna, ovvero il No alle speculazioni e il No a occupare il suolo agricolo per installare grossi impianti, per non togliere spazio alle produzioni e consumare il suolo per la realizzazione di impianti. Quindi non se ne sta parlando solo in Sardegna ma è un ragionamento nazionale. Magari anche guardare come si stanno muovendo gli altri territori sulla partecipazione, su come affrontare il problema, sarebbe potuto essere utile. Però ripeto, il Consiglio regionale con senso di responsabilità, maggioranza e opposizione, perché l’opposizione anche se ha votato in modo contrario e ha dato il suo contributo, sono andati avanti. Noi avevamo il di più delle firme di Pratobello e purtroppo lì, secondo me, sarebbe stata opportuna la mediazione o un coinvolgimento un po’ più attivo di tutte queste persone che meritano rispetto per le istanze che hanno portato avanti. È andata così, adesso i legislatori sono loro, noi non possiamo fare altro che vigilare su quello che succederà. Soprattutto come sindaci, perché poi siamo noi che riceveremo le domande e dovremo affrontare tutto quello che verrà dopo.
Con la Regione che rapporti avete?
C’è un rapporto assolutamente di collaborazione. Un po’ contesto il fatto che il tema energia abbia monopolizzato il dibattito e purtroppo ci sono dei temi che non possono essere oltremodo rinviati e hanno necessità di essere affrontati non in maniera urgente, ma di più. Penso al tema della sanità, al tema della scuola e al tema dei temi che, secondo me, va messo al primo punto di tutte le agende politiche, ovvero lo spopolamento. Credo che in Sardegna serva mettere in piedi un grande cantiere di riforme e di impianto normativo per aggredire questi problemi. Il tema dello spopolamento alla fine è quello che mette insieme tutto, perché dove mancano i servizi ci si spopola e dove si chiudono le scuole lo spopolamento è più evidente. Quindi affrontare quel tema con un occhio dall’alto, a cascata può essere utile per tutti gli altri. I rapporti con l’attuale amministrazione regionale sono buoni, collaborativi, però adesso chiediamo assolutamente un cambio di passo. Serve che la finanziaria entri il prima possibile in discussione e siccome è la prima finanziaria di questa giunta regionale, visto che fino ad ora hanno utilizzato i fondi che arrivavano dalle giunte precedenti, ci serve sapere quali saranno i loro obiettivi che vedremo già da questa manovra di bilancio.
Spopolamento. Effettivamente risalta che si tratti di un fenomeno per certi versi italiano e soprattutto sardo. Se si prendono in considerazione le altre isole del Mediterraneo, al di là della Sicilia che manifesta dei problemi, seppure in modo minore in rapporto al numero della popolazione, la Corsica, Cipro e Malta sono in addirittura in crescita. Quindi può essere un problema legato proprio alla scarsa attenzione rivolta al fenomeno da parte delle varie Giunte regionali che si sono succedute?
Sì, probabilmente non si è mai affrontato. Intanto è vero che quando si parla di spopolamento si pensa soprattutto al paesino più lontano dell’area interna, invece si spopola anche Cagliari. Forse l’unica eccezione è l’hinterland cagliaritano, perché gli affitti a Cagliari sono cari; quindi, le persone si spostano sui paesi del circondario e non creano il fenomeno. Forse solo Olbia è in crescita. Però è un fenomeno generalizzato un po’ a tutto il territorio regionale. Perciò, si deve analizzare questo problema e non solo con una ricetta. Il bonus bebè non è la soluzione: è una parte delle azioni che si possono mettere in campo. Poi servono azioni che incidano appunto sui servizi e contemporaneamente sul lavoro. Bisogna inventarsi nuove forme di lavoro che consentano alle persone di lavorare qui, nuova formazione, nuovo tipo di scuola. Va combattuta la dispersione scolastica perché oggi chi arriva alla laurea poi non trova opportunità per quella laurea in questi territori e va via. Quindi troviamo nuove professioni che consentano anche a chi ha un livello di studio elevato o a chi oggi abbandona gli studi magari di raggiungere una professione inventandoci nuova formazione. Servono una serie di azioni urgentissime che vadano a incidere su tante cose, appunto sui servizi. La medicina territoriale non può essere solo uno slogan, ma deve essere messa in campo; la scuola del territorio deve essere messa in campo; le occasioni di lavoro devono essere messe in campo. Anche le connessioni veloci a Internet: ci sono comuni che ancora non vengono raggiunti dalla fibra e anche quello è ovviamente parte del problema. Poi se servono anche i bonus.
La questione del divario digitale era emersa in modo particolare durante il periodo della pandemia.
È normale che quando non ci sono le infrastrutture poi certe cose non si possono fare, certi lavori, certe professioni non possono essere svolte in determinati territori se non viene superato il divario. Dobbiamo essere connessi sì con strade sicure e percorse da trasporto pubblico che funzioni, ma dobbiamo essere connessi anche con le reti informatiche.
C’è un po’ la percezione che questo sia dovuto anche al fatto che la Sardegna sta diventando sempre più dipendente dal turismo e di conseguenza concentra lo sviluppo maggiormente in tutte quelle aree che sono soggette al turismo, lasciando perdere il resto?
Io faccio parte di una ristretta cerchia che dice che i paesi non possono essere solo bomboniere per accogliere i turisti del weekend. I turisti vengono in luoghi dove si vive bene, dove chi viene ci trova vivere bene tutto l’anno, non solo in occasione di eventi o manifestazioni. Quindi, se noi abbiamo paesi da una parte belli, ovviamente, ma anche felici, dove la popolazione lavora e vive in serenità, probabilmente anche i turisti, visto che abbiamo un ambiente bellissimo da visitare, quando arrivano trovano tutto. Quando noi andiamo in Trentino di solito non decidiamo di andare perché c’è la manifestazione, decidiamo di andare in Trentino anche perché sappiamo che in qualunque stagione dell’anno andiamo, troviamo dei luoghi accoglienti.
A questo punto però riemerge anche il problema dei trasporti, nel senso che inevitabilmente raggiungere determinate aree con il trasporto pubblico è impossibile.
I trasporti interni sono un grande problema. Da una parte c’è la continuità territoriale del trasporto dalla Sardegna verso la penisola e verso altre destinazioni, dall’altra c’è il trasporto interno. Noi non riusciamo a collegare neanche i paesi tra loro, non c’è una rete di trasporto pubblico locale tra città e paesi, tra paese e paese. Quindi anche la gestione dei servizi senza trasporto pubblico locale diventa complicata. Penso che non serva uno specialista medico in ogni paese, però se ci fosse una rete di trasporto pubblico locale in un paese potrebbe esserci il cardiologo, nell’altro l’otorino, nell’altro ancora il dermatologo per dire. Le comunità si spostano e non tutti hanno la possibilità di spostarsi con l’automobile, ma con una rete di trasporto pubblico locale efficiente probabilmente questo problema si supera.
Il 28 novembre è stato firmato quel patto col governo che porterà oltre 3,3 miliardi di euro alla Sardegna tra il 2021 e il 2027. In programma è indicata anche la volontà di migliorare e sviluppare le strade che in Sardegna sono state caratterizzate da vicende drammatiche, un fatto che purtroppo a Fonni si è vissuto recentemente.
Una delle cose su cui abbiamo riflettuto molto, soprattutto in seguito alla tragedia che ha colpito il nostro paese è che nei giorni scorsi è stato pubblicato forse uno studio, o qualcuno ha citato uno studio, in cui emerge che la provincia di Nuoro sia stata quella con il maggior numero di incidenti mortali non di tutta la Sardegna, ma di tutta Italia. Quindi non può significare che sia sempre colpa di chi si mette alla guida. Significa che abbiamo delle strade che non sono sicure. Quindi è la prima cosa da fare. Spero che questi fondi vengano messi a disposizione delle province, dei comuni e dell’Anas anche per questo, per mettere in sicurezza le strade. Perché non si può lasciare la vita in mano ai ventenni e basta, pensando che magari non corrano e che non bevano. Bisogna occuparsi soprattutto della sicurezza delle strade. A parte questi quattro ragazzi poverini che sono morti un mese fa, io sono sindaca da 8 anni e sulla strada statale che collega Fonni con Nuoro ho perso 3 concittadini e nessuno per l’alta velocità o guida in stato di ebrezza, ma proprio perché la strada non era sicura. Mettere in sicurezza le strade sicuramente è una priorità e mi auguro che questi soldi del Fondo di Coesione prendano in considerazione questo aspetto.
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