(Crediti foto: Wikipedia)

Quando si pensa alla parola migrazioni, quasi automaticamente nella mente nasce l’idea di un passaggio da uno Stato all’altro. In realtà, uno dei fattori che ha sempre contraddistinto i singoli paesi nel mondo sono le cosiddette migrazioni interne, e la storia di Adalgisa Steri ne è una perfetta testimonianza.

Il contesto è quello appena successivo alla Seconda guerra mondiale. I movimenti di uomini dati dagli spostamenti delle truppe lasciarono il posto a quelli di chi non aveva più una casa; a coloro che erano stati costretti ad abbandonare la propria terra, per via di un riassestamento dei confini; e poi a chi invece fuggiva dalla povertà e dagli altri problemi che la guerra aveva lasciato.

In Italia il tragitto più comune fu quello che portò le persone dal Sud al Nord, anche se non mancarono le eccezioni. Ad ogni modo, tra le regioni protagoniste di queste emigrazioni vi fu anche la Sardegna.

Una delle iniziative promosse in quegli anni, che aveva come obiettivo la salvaguardia del futuro dei bambini, furono i cosiddetti Treni della felicità.

Promossi dall’Udi (Unione delle donne in Italia), tra il 1945 e il 1952 trasportarono oltre 70.000 bambini nelle città del centro-nord Italia. In quei luoghi, sarebbero poi stati accolti dalle famiglie ivi residenti. Ed è in questo contesto che si cala la storia di Adalgisa Steri.

Nata ad Arbus nel 1942, ad appena 7 anni e mezzo si ritrovò catapultata in un ambiente che forse a quell’età non avrebbe nemmeno potuto immaginare. “Mio padre mi portò alla stazione di San Gavino, e senza troppe spiegazioni mi lasciò lì” ha raccontato in un’intervista ai microfoni del Corriere di Torino.

Difatti, i genitori avevano appena avuto un’altra figlia e il cibo in casa non bastava più per tutti. Steri arrivò a Porto Torres, insieme ad altre 10 bambine partite da Arbus, e da lì si imbarcarono su una nave che fece rotta per Genova. La destinazione finale però sarebbe stata Torino.

I pianti inconsolabili dei bambini fecero da sottofondo ad una traversata che per loro era davvero difficile da comprendere. Anche perché l’avventura non terminava con il viaggio.

Una volta giunti nel capoluogo piemontese, bisognava ‘essere scelti’: “Un signore mi prese in braccio, mi guardò e rimise a terra. Lo stesso accadeva ad altri bambini” racconta ancora Steri al Corriere.

Il destino volle che tra le famiglie che si erano messe a disposizione ci fosse anche quella di Elio Croccu, un uomo di origine sarda. Furono lui, sua moglie e la figlia 14enne Gisella ad accogliere in casa Adalgisa Steri.

Anche a Torino non si navigava nell’oro, ma a differenza della Sardegna si riusciva a sfamare qualche bocca in più. La famiglia Croccu riuscì a garantire tutto ciò che il programma prevedeva: calore, cibo, vestiti e scuola.

Steri dopo due anni ebbe modo di tornare in Sardegna per riabbracciare i propri genitori e la sorellina. Tuttavia, le condizioni ancora precarie in cui si viveva nell’isola, la costrinsero a tornare a Torino, luogo in cui l’82enne risiede ancora oggi.

Nel capoluogo piemontese acquisì esperienza come babysitter, divenne insegnante di scuola e infine catechista presso l’istituto Flora.

La sua fu una microstoria nell’ampio contesto della ricostruzione dell’Italia e del consolidamento dell’appena nata Repubblica. Una testimonianza di umanità in cui per una volta sono stati gli italiani a fare l’Italia.

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