Se i Comuni sardi volessero realizzare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree definite non idonee, anche con l’obiettivo di contenere i costi energetici, potranno farlo nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole.
Lo prevede l’articolo 3 del disegno di legge sulle aree idonee il cui esame è in dirittura d’arrivo nell’Aula del Consiglio regionale. E cambiano, rispetto al testo originario proposto dalla giunta, i paletti che definiscono questa possibilità, nel timore che possano “rientrare dalla finestra” progetti meramente speculatori.
Timori sollevati dalla minoranza sin dalla prima presentazione del testo e oggetto dell’intesa tra gli schieramenti. Nel testo si prevede che i Comuni hanno facoltà di proporre un’istanza alla Regione, propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo Fer all’interno di un’area individuata come non idonea ai sensi della presente legge. Ma per farlo già nel testo originario era previsto l’obbligo che la delibera del consiglio comunale sia preceduta dallo strumento partecipativo del “dibattito pubblico”.
L’articolo 3 prevede anche le misure di garanzia di esecuzione e bonifica dei siti degli impianti, una sorta di assicurazione per i territori, che deve essere in misura pari al valore complessivo dell’opera e degli interventi di dismissione dell’impianto di produzione e delle opere di ripristino dei luoghi sulla base della destinazione urbanistica.
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