(Foto credit: Sinone_Calabrone)

Maurizio Carucci ha rimescolato la sua vita. Sa essere tante cose assieme: cantante degli Ex Otago, conduttore di un podcast, viaggiatore curioso, agricoltore determinato. Così è possibile vederlo cantare splendide canzoni su un palco ma anche seduto su una semplice sedia a raccontare come sia cambiata la sua quotidianità negli anni.

E di come sia arrivato pronto a scrivere il suo primo romanzo, dove narra un viaggio a piedi, dentro la vita, cominciato quando era un bambino tormentato e cercava qualcosa che, avrebbe scoperto poi, gli sarebbe mancato per sempre.

L’importante non è quello che trovi alla fine della corsa, ma quello che provi mentre corri” diceva Giorgio Faletti in un film. E Carucci ha assimilato quanta vita è passata sotto le sue scarpe, da un quartiere di Genova al mondo intero. E le lezioni imparate, giorno per giorno, regalate alla propria esperienza.

Genova e Marassi cosa sono per te?

Sono i luoghi in cui ho scoperto il mondo, fondamentalmente. Anzi, i mondi. Un luogo di scoperta, un luogo materno e paterno. Che ho amato alla follia e che amo tutt’ora molto. Ma da cui ho imparato a emanciparmi. Soprattutto Marassi è stato il posto che mi ha insegnato a partire. Infatti gli sono molto grato. È una casa in cui torni volentieri, ma da cui sai che dopo qualche giorno vuoi scappare. Come quando fai le vacanze obbligate con alcuni parenti che non vedi da molto tempo. Non perché non gli vuoi bene. Ma perché avete visioni del mondo molto diverse.

Josep Koudelka dice che “quando vivi in un luogo tanto a lungo diventi cieco, perché non osservi più nulla. Quindi io viaggio per non rimanere cieco”. Ecco, il viaggio cosa rappresenta?

Sono d’accordissimo con Koudelka. Spesso nella storia dei luoghi a portare innovazione e evoluzione sociale e culturale sono gli stranieri. Effettivamente quando stai in un posto per tanto tempo, non ti accorgi più di quanto sia caratteristico, delle sue forme. Se non hai una gran voglia di investire, di reinnamorarti come fosse una persona, rischi di entrare nella routine. Può sembrare che tutto sia normale. Ci vuole tanto lavoro e anche la visione di rinnovarsi tutti i giorni. Il viaggio per me? Di viaggi ne ho fatti diversi perché mi permettono di entrare in un luogo che non è di nessuno. Nel viaggio perdi il tuo paese, le tue origini. Questa condizione di fragilità ti permette di entrare in una condizione nuova, di non controllo. Ti permette di entrare in uno stato d’ascolto, e tutto sembra possibile e logico. Incontrare popoli con culture diverse in viaggio è possibile. A casa nostra invece cadiamo nel burrone dell’intolleranza o scambiamo la tradizione per conservazione.

Nel ripercorrere la tua storia immagino che ti ci sia un po’ perso dentro. Dopo aver scritto il libro, a che punto della tua vita sei?

Sono in un momento molto affascinante. È la prima volta che arrivo ad un appuntamento pronto. E questa è una cosa che un po’ mi spaventa. Se finora mi è andata tutto bene senza avere gli strumenti, ora rischia che vada tutto male. Il mio terrore ironico (ma non troppo) era questo. Quindi è un momento bello: quando arrivi pronto ad un appuntamento, riesci a godere di ciò che stai facendo. Non devi rincorrere. Non devi farti mille paranoie. Ora mi sento presente, antenna della mia vita. È un momento molto fertile, di grande consapevolezza. Me la sto godendo.

Qual è il tuo rapporto con la Sardegna, invece?

È un rapporto bello. Ho grande stima dei sardi, della loro caparbietà, attenzione alla lotta. Mi piacciono i vini, le cantine. La visione dell’agricoltura. Come tutti i luoghi però mi sembra anche difficile dal punto di vista culturale. In questo momento, soprattutto, la Sardegna come altre regioni d’Italia ha grandi possibilità. Da una parte rincorrere il centro e cercare di assomigliargli. Penso al turismo a tutti i costi, mordi e fuggi, a tutte le dinamiche delle grandi metropoli. Oppure dire: “sai che c’è? Noi siamo un’altra cosa. Quest’altra cosa ha un valore. Non è peggio o meglio, è un’altra cosa. E tutto sommato lavoriamo per valorizzarla”. Quest’altra cosa non serve per alzare muri ma per dialogare con tutti con grande serenità.

Musica, podcast, libri: nel futuro cosa c’è?

Non ne ho la più pallida idea… (ride, nda). Quello che sto facendo adesso mi sta nutrendo molto. Sono molto felice. La musica non mancherà mai: sono nato con la musica e morirò con la musica. E chissà se scriverò altre cose. È stata una esperienza molto profonda, antica. Ho provato sensazioni meravigliose. Mi è servito molto. Il libro che ho scritto mi ha permesso di fare un giro molto ampio, mi ha permesso di vedere e capire alcune cose. Cosa farò? Le cose che mi rendono libero e capaci di godere della vita. Che possa essere una canzone, un podcast, un libro. Tutto ciò che riuscirò a fare in maniera libera, mi vedrà coinvolto.

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