Costruire una alternativa per imporre la voce della Sardegna a livello nazionale sul tema dell’’eolico e della transizione energetica: è questa la ricetta di Sardegna Chiama Sardegna.
Dopo le parole dell’assessore Spanedda e dei comitati, ecco una terza voce che riassume una posizione giovane e fresca su un argomento che sta mobilitando tantissime persone in tutta la Sardegna.
Le riflessioni sono frutto del lavoro del gruppo tematico Energia di Scs, che da tempo elabora proposte per una transizione energetica sostenibile e democratica nell’Isola.
In questi mesi di scontro mediatico, che idea vi siete fatti di quanto stesse accadendo?
In Sardegna sono attivi da anni comitati e movimenti impegnati nella tutela e salvaguardia del territorio, contro la speculazione energetica a vantaggio delle grandi multinazionali e delle loro società satellite. A partire dal 2021, con il decreto Draghi, la cornice normativa statale ha dato il via a un’ondata allarmante di proposte di impianti da fonti rinnovabili. Di qui l’esplosione di una mobilitazione sempre più popolare. In sintesi, crediamo che i Sardi non vogliano recepire delle decisioni inique prese a livello centrale, senza il minimo coinvolgimento delle comunità. Pensiamo che la maggioranza delle persone non si stia mobilitando a difesa dello status quo energetico basato sul fossile, bensì affinché siano il più possibile i cittadini a beneficiare dei profitti derivanti dal vento e dal sole, e per decidere come e dove installare impianti di produzione e infrastrutture di accumulo e connessione. Una battaglia che al contempo va contro la costruzione di qualsiasi nuova infrastruttura legata al fossile, per una via “sarda” alla necessaria accelerazione della decarbonizzazione del sistema elettrico ed energetico, anche rispetto ai tempi previsti dall’Europa.
Cosa è mancato, se è mancato, nel dialogo tra istituzione e popolazione?
Una corretta comunicazione, che non può mai essere unidirezionale, perché il dialogo presuppone ascolto e processi di partecipazione reali. Questo è ciò che è mancato drammaticamente con Solinas e che continua a mancare con Todde, che prosegue nel non voler riconoscere il cuore delle istanze di chi si sta mobilitando da anni. Prendiamo come esempio il Ddl sulle aree idonee. Un testo che è stato preceduto da sbrigativi incontri territoriali con le amministrazioni locali e che ha raccolto alcune sollecitazioni provenienti dalla mobilitazione, nonostante tante lacune e contraddizioni da risolvere. Pur registrando dei passi avanti sul piano del riconoscimento di alcune richieste, l’errore del Governo regionale sta a monte, ossia quando ha recepito il Decreto Fratin senza cogliere l’occasione per aprire uno scontro politico con lo Stato che mettesse in discussione, in termini complessivi, la cornice normativa statale. Ora si rischia l’apertura di un varco temporale preoccupante tra l’emanazione di questa legge, che sospende la legge 5 che bloccava la realizzazione degli impianti per 18 mesi, e la pianificazione complessiva in ambito energetico, paesaggistico ed economico, attraverso il Piano Energetico e Ambientale, il Piano Paesaggistico Regionale e il Programma Regionale di Sviluppo. Una pianificazione che avrebbe dovuto precedere la legge sulle aree idonee, ordinarie e non idonee, per costruire democraticamente un quadro organico stringente e di prospettiva che oggi manca. In questo varco temporale non mancherebbe soltanto una visione complessiva, ma anche il ruolo del pubblico. Non sono chiari né i tempi di costituzione né le effettive competenze della prevista Agenzia Energetica Sarda e si rischia che, una volta approvata la legge, ci sia una corsa autorizzativa del privato per accaparrarsi tutto l’idoneo e l’ordinario possibili, senza preservare un minimo ruolo del pubblico nella produzione dell’energia. Invece di provare a raggiungere questi obiettivi, attivando uno scontro lo Stato per una chiarificazione ed estensione delle competenze statutarie che permettesse di acquisire il tempo e i poteri necessari, hanno accettato la tabella di marcia imposta dai governi Draghi e Meloni e ora si trovano col fiato al collo della Corte Costituzionale che si esprimerà a breve sulla legge 5. Non è così che si ascolta e si riconosce la voce che arriva dalla Sardegna, che chiede di diventare protagonista nella transizione energetica e che vorrebbe una Regione coraggiosa che, facendosi forza dalla mobilitazione popolare, porti il conflitto a Roma, facendo di questa una questione politica di ampia scala. Non devono temere questa richiesta, ma ascoltarla.
Avete avanzato una serie di proposte. Cosa significa per voi “Costruire l’alternativa”?
Pensiamo che la Regione e i Comuni debbano prendere in mano il controllo della transizione energetica in Sardegna, affinché questa non sia più guidata da interessi esterni o speculativi, ma diventi uno strumento di sviluppo per la nostra comunità. Ci opponiamo a quella che potrebbe diventare una colonizzazione energetica, in cui le risorse della Sardegna vengono sfruttate senza un ritorno reale per l’Isola. La soluzione passa dall’apertura di uno scontro politico con lo Stato per una complessiva rivisitazione e ampliamento delle competenze statutarie in materia energetica, per un conseguimento democratico e adatto al nostro contesto degli obiettivi prescritti dalle direttive europee, interpretate fino ad ora in chiave centralistica e favore delle grandi società private da parte dei governi dei governi Draghi e Meloni. Serve che nel più breve tempo possibile si apra un inedito processo partecipativo e di coinvolgimento per la rivisitazione del Piano Energetico e Ambientale della Regione Sardegna, l’estensione del Piano Paesaggistico Regionale, nonché l’auspicabile scrittura di una legge organica sull’energia che dia una spinta senza precedenti all’autoconsumo, alle comunità energetiche e al ruolo pubblico nella produzione di energia attraverso l’Agenzia. L’alternativa è dunque una visione autonoma e realmente sostenibile della produzione e distribuzione di energia.
Perché ritenete che sia necessario uno scontro politico-istituzionale tra Regione e Stato e come ritenete il fastidio del ministro Fratin nei confronti della legge sulle aree idonee della giunta Todde?
Uno scontro politico-istituzionale tra Regione e Stato è fondamentale per affermare il diritto della Sardegna a decidere autonomamente sulla sua transizione energetica, pur all’interno di quanto viene prescritto dalle direttive europee, così come su altre questioni. Serve dunque immaginare una progressione della battaglia che muova da una proposta di norma di attuazione dell’art. 4, affinché la Regione possa effettivamente regolamentare il ciclo produttivo e distributivo dell’energia. Ciò richiede una soluzione politica, a livello nazionale, nella direzione di ridisegnare almeno questo ambito della specialità, mettendo in discussione l’interpretazione che si dà all’art. 117, primo comma e terzo comma, sul quale si fonda l’orientamento centralista della Corte Costituzionale. L’obiettivo non è solo quello di portare tutto l’iter autorizzativo in mano alle istituzioni sarde, ma avere una serie di strumenti normativi che rendano la transizione un’opportunità economica reale e diffusa per le famiglie, le aziende, i comuni sardi e che permettano di contrattare al meglio con i privati, definendo taglie delle tecnologie, compensazioni, fideiussioni e altri strumenti. Il fastidio del Ministro nei confronti della legge sulle aree idonee è la dimostrazione che c’è un conflitto latente tra il Governo centrale, che mira esclusivamente a imporre i propri obiettivi senza considerare le specificità locali, e la necessità della Sardegna di difendere le sue prerogative.
Quali sono i passaggi che dovrebbe attuare la Regione nel corso dei prossimi mesi?
I primi passaggi da compiere sono sicuramente quello di attivare un grande processo partecipativo per la rivisitazione del nuovo Piano Energetico e Ambientale che coinvolga le comunità in una cornice di discussione ampia su che tipo di modello di sviluppo deve avere l’Isola nei prossimi decenni. Al contempo, occorre estendere quanto prima il Piano Paesaggistico Regionale e attivare l’Agenzia Regionale per l’Energia. Il PEARS dovrà essere la base per negoziare con lo Stato le quote di energia rinnovabile da installare da qui al 2050, facendo leva anche su una trattativa politica che nasca dalla scrittura di una norma di attuazione dell’art. 4 dello Statuto. Serve poi lottare contro la normativa vigente sulle misure compensative, che attualmente penalizza i comuni che ospitano impianti rinnovabili, e ottenere una nuova regolamentazione che riconosca adeguatamente i benefici economici e ambientali.
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