(Foto credit: Maurizio Mulas)

È il giorno del Sardegna Pride a Cagliari. Sabato 29 giugno, a partire dalle ore 17, migliaia di persone sfileranno per la città mescolando momenti riflessione, di festa e di impegno civile.

A parlarci dell’evento e di tutto ciò che rappresenta è Delia Fenu,ex  presidente regionale AGedO (Associazione Genitori di Omosessuali).

L’associazione si occupa di aiutare le famiglie ad accettare l’omosessualità di un congiunto, di portare avanti opere di sensibilizzazione nelle scuole e di lavorare affinché vengano approvate in Italia leggi contro le discriminazioni ed i crimini motivati dall’odio.

Qual è l’importanza del Pride a Cagliari?

E’ la seconda manifestazione più significativa di tutta la Sardegna dopo Sant’Efisio. Quest’anno ci aspettiamo un afflusso molto importante. Non solo combattiamo per i diritti che i nostri figli e le nostre figlie non hanno. Ma combattiamo anche per i diritti che sono stati raggiunti. Oggi si nota un rigurgito di regressione nelle pratiche politiche del governo nazionale. Fortunatamente in Sardegna la tendenza sembra essere ben diversa. Ci sono comuni come Quartu Sant’Elena che ha istituito l’assessorato ai diritti civili. Il Pride è una occasione di grande festa ma anche di rivendicazione sociale.

Come vi siete avvicinati a questo importante evento?

Ci siamo avvicinati al Pride con la mostra “Adelmo e gli altri”. L’abbiamo voluta fortemente: sono delle foto e delle storie che ci hanno toccato molto profondamente. Si tratta di omosessuali mandati al confino in epoca fascista. Volevamo mostrare ciò che accade quando in una società c’è la non accettazione di una condizione umana riconosciuta come tale a tutti i livelli. Io sono nata eterosessuale ma non ho né meriti e né demeriti per essere nata così. Ci sono nata punto e basta. I nostri figli e le nostre figlie sono chi gay, chi lesbica, chi trans, chi bisessuale. Non hanno scelto di essere così. Aspirano solo a raggiungere una felicità personale nel mondo. Ecco perché i loro affetti dovrebbero contribuire alla loro felicità, levando tutti i limiti che la società pone loro. Come ad esempio lavorare per il matrimonio egualitario: molte opportunità previste nel matrimonio sono negate. Pertanto non ci sono diritti per il compagno o la compagna, e soprattutto per i figli delle coppie omosessuali. E’ una discriminazione molto forte. Spesso bisogna affidarsi ai tribunali per veder riconosciuto il semplice diritto di esistere nella società. Cosa che non accade con le coppie eterosessuali, anche in casi molto difficili.

L’associazione AGedO, in Sardegna, di cosa si occupa?

Come AgeDo cerchiamo di aiutare quei genitori che entrano in relazioni con figli e figlie al momento del coming out. Questo svelamento crea molto disagio, con un iniziale rifiuto verso il proprio figlio o la propria figlia che invece si rivolge a loro con un atto di fiducia. Il percorso che aiutiamo a fare è quello di valutare il benessere dei figli è più importante dei pregiudizi e degli stereotipi che la nostra società ha introiettato.

Ha un consiglio da dare a tutti coloro che guardano al Pride con pregiudizio?

Invito ad avvicinarsi e a vedere quanta bellezza il Pride esprime. Spesso gli occhi che guardano, guardano quelli che considerano eccessi di visibilità per l’abbigliamento. La caratteristica di chi partecipa al Pride è invece di mostrarsi per uscire dall’invisibilità a cui la società li condanna. I movimenti sono stati “visti” perché si sono “mostrati”. Nel momento in cui tu li vedi, prendi in considerazione che loro esistono. E prendi coscienza della loro libertà. Ecco perché tanti colori, come quelli dell’arcobaleno. Il mondo è colorato e vogliono che non sia visto in bianco, nero e grigio. Le diversità sono una grande ricchezza, un grande patrimonio.

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