Al secondo posto delle elezioni regionali della Sardegna si è piazzato Paolo Truzzu. Che per questa competizione era previsto da tanto tempo (ne parlammo a settembre) e che si è ritrovato a dover fare una campagna elettorale di rincorsa in tutta l’Isola.

Il dato finale parla di un 45%, con oltre 320 mila voti conquistati. Ha fatto peggio della somma delle liste che lo sostenevano, che hanno raggiunto un impressionante 48,8%.

Sono state tante le motivazioni che hanno portato alla sconfitta. Truzzu si è preso la responsabilità complessiva, anche al di là delle sue reali colpe. La sua discesa in campo, preparata e imposta da Fratelli d’Italia, ha creato più crepe nel centrodestra di quelle che si sono palesate nel centrosinistra. E come ha indicato l’analista Alessandra Ghisleri, sono state decisive.

Sicuramente al sindaco di Cagliari ha difettato la comunicazione. Non che non ci sia stata. Ma non è stata ben inquadrata per le esigenze della campagna elettorale. Lo slogan “No slogan” è stato un brutto segnale, come ha spiegato l’analista Marco Venturini, così quel continuo camminare in ambiguità sulla linea del “continuità sì – continuità no” con la giunta Solinas.

E come se non bastasse l’assenza di slogan e di programma (non leggibile fino agli ultimi giorni di campagna elettorale), nei cartelloni in giro per la Sardegna è stato presentato il viso di Giorgia Meloni. Oscurando in tutto e per tutto Truzzu: in una campagna partita ad handicap per il poco tempo a disposizione, è stata una mazzata.

E sempre la comunicazione ha pesato soprattutto a Cagliari. Truzzu dice: “Al termine dei lavori, la città sarà più bella”. È evidente che la prospettiva ai cagliaritani non è arrivata. Che lui o chi per lui non è stato in grado di far capire la bontà del lavoro fatto. Così ha subìto la bocciatura.

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