Ormai la volata è lanciata. Paolo Truzzu correrà alle Regionali come candidato alla presidenza per il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia. Con o senza gli alleati di Lega e Psd’Az. Il sindaco di Cagliari ha vinto il ballottaggio interno ai partiti della coalizione, incassando l’investitura ufficiale del tavolo regionale dopo la riunione fiume di giovedì. Per il primo cittadino ora una nuova sfida, con la campagna elettorale che parte proprio da un bilancio dei suoi cinque anni a Palazzo Bacaredda.
Signor Sindaco, cinque anni di amministrazione volgono al termine.
Sono stati cinque anni molto particolari, perché una buona parte del nostro tempo a disposizione non l’abbiamo potuto utilizzare per concentrarci sulla città, ma eravamo concentrati sulla gestione della pandemia. L’amministrazione è stata costretta ad occuparsi per lungo tempo di questioni di cui non avrebbe dovuto occuparsi, come la sicurezza sanitaria. E penso all’organizzazione degli hub vaccinali. In quei giorni si facevano riunioni quotidiane per garantire la normale vita della città nonostante le restrizioni. Quindi più che di cinque anni, possiamo parlare di tre anni di lavoro effettivo.
Che città ha trovato e che città pensa di lasciare?
Abbiamo trovato una città che aveva necessità di una serie di interventi sui servizi di base. Servivano scelte coraggiose. Era necessario scrivere un piano di regole perché era una città senza pianificazione. La prima cosa è stata lavorare su questo, poi abbiamo cercato di ragionare su quale poteva essere il futuro della città, che per noi era legato a recuperare il rapporto con il mare. Abbiamo lavorato sul distretto velico e sulla variante urbanistica di Marina Piccola, sullo stadio, sul palazzetto, sulla via Roma, sul recupero di aree di pregio come viale Trieste e viale Buoncammino. Grazie al Pnrr siamo poi riusciti a lavorare sul recupero dei mercati, con l’avvio della riqualificazione del mercato di San Benedetto che era una cosa attesa da tempo, lavorare anche sul tema ambientale. L’obiettivo è stato sempre quello di mantenere l’identità della città, dandole però una chiave di modernità. Se avessimo cominciato prima questo lavoro saremmo al passo con le altre grandi città europee che si affacciano sul mare, ma prima di noi questo ragionamento non c’era stato.
Come diceva, in questi anni siamo passati per una pandemia che ha sconvolto la vita e le abitudini di tutti. Come è cambiata quindi Cagliari anche dal punto di vista sociale?
Dal punto di vista sociale ho trovato una città dove c’è sempre stata una grande disponibilità dei cittadini a rendersi partecipi nell’intervenire sulle fragilità, quindi una grande forza del volontariato del terzo settore. Dall’altro lato però mi dispiace vedere che la città si concentri su polemiche di piccolo cabotaggio e non sui temi della modernità, fare ragionamenti complessivi sulle sfide per il futuro. Cagliari è un capoluogo di regione che ha delle tradizioni molto caratterizzanti, ma è anche il luogo dove si sviluppa la modernità in Sardegna e noi dovremmo riuscire ad interpretare questo ruolo di connessione. Questo secondo me è mancato, ma non ne faccio una colpa verso gli altri, dico solo che è una cosa che dobbiamo fare tutti.
C’è qualcosa che avrebbe voluto fare ma che non è riuscito a portare a termine in questo mandato?
Spero che chiunque ci sia dopo di me continui sulla strada della riconnessione della città con il mare. Noi oggi abbiamo in fase di progettazione aggiudicata, con progetto che sta avanzando con professionisti per un importo di 1,5 milioni di euro, la realizzazione del tunnel in via Roma e la realizzazione di una grande piazza che colleghi Marina e Stampace con l’area portuale. Spero che chiunque sia il futuro sindaco continui su questa strada. Così come mi auguro che la rigenerazione urbana di Sant’Elia, con anche la costruzione del palazzetto e dello stadio, possa diventare un volano per la crescita e la rimarginazione di quella ferita che c’è tra il quartiere e la città. Vorrei che quel punto diventasse il grande parco sportivo e culturale. E dico culturale perché dove altri ci vedevano un centro commerciale io ci vedo un museo. Spero lo possa fare chi verrà dopo di me, magari con un rapporto con le istituzioni più collaborativo, nel senso del sentire l’esigenza di lasciare un segno e non difendere interessi di piccolo cabotaggio.
Ha parlato di modernità e di pianificazione con progetti ambiziosi di trasformazione della città. Questo però in termini politici ha un costo, perché i cantieri aperti sono tanti e a questi seguono ovviamente i disagi per i cittadini.
Normale che ci siano legittimi dubbi e legittime critiche da parte dei cittadini. Ogni cambiamento richiede un periodo di lavori importanti, in cui non tutti comprendono o riescono a immaginare cosa sarà in futuro quello spazio. Sono convinto che, così come è stato per Buoncammino, quando i cagliaritani vedranno realizzato lo spazio di via Roma e cosa sarà piazza Matteotti, che era una delle sfide, allora i cittadini comprenderanno. Daranno un valore diverso ai sacrifici che hanno fatto. Capisco le difficoltà, perché giro la città e parlo con la gente, quindi conosco le problematiche. Però dobbiamo ragionare su una serie di prospettive. La prima è che stiamo realizzando una serie di investimenti che non si sono mai visti, perché ci sono 300 milioni di euro di lavori in giro, e parlo solo di fondi dell’amministrazione. Si tratta di una grande iniezione economica, quei cantieri si traducono in una grande opportunità di lavoro per tutti. Poi dico che in tanti, ad esempio, hanno avuto a che fare con i lavori di ristrutturazione in casa e sanno bene che c’è disagio all’inizio, ma poi i risultati sono quelli di avere una casa più moderna, funzionale, bella ed efficiente. Per la città vale lo stesso.
Alcuni cantieri però sembrano andare davvero a rilento.
Sui lavori pubblici c’è una problematica peculiare di questi anni, ovvero quella che la pandemia ha sparametrato tutti i prezzi dei materiali da costruzione. Abbiamo avuto una serie di difficoltà su alcuni cantieri, come il ponte ciclopedonale, il porticciolo o viale Sant’Avendrace, che sono tutti cantieri aggiudicati con gare pre covid. Con prezzi che quindi non sono più quelli odierni, alcuni infatti sono aumentati addirittura del 400%. Abbiamo dovuto ricontrattare con le aziende e aspettare strumenti normativi a livello nazionale. Indubbiamente è stato un ostacolo che ha allungato i cantieri. Però, come si dice, per imbellire bisogna soffrire. Trasformare la città senza difficoltà non è possibile.
A proposito di attese, finalmente siete riusciti a sbloccare la questione stadio. Ci racconta questi anni di gestazione?
La precedente amministrazione ha venduto all’opinione pubblica l’idea che lo stadio fosse pronto. In realtà non c’era niente. Nell’ultima delibera del 2019 dell’amministrazione Zedda c’era scritto chiaramente che bisognava modificare il progetto e fare un piano guida. Ci hanno lasciato l’idea che lo stadio fosse fatto, ma la realtà era tutto un lavoro da fare e che noi abbiamo concluso con fatica. Abbiamo lavorato con la Regione, cercando di trovare i soldi, di non fare un ulteriore centro commerciale. E penso che sia un successo per la città. Il risultato che abbiamo raggiunto è quello di poter realizzare lo stadio senza avere il centro commerciale, con due terzi delle risorse messe dal privato. Una cosa epocale, per la città, per Sant’Elia e per la Sardegna.
L’ultimo anno della vicenda stadio però ha messo in evidenza un rapporto complicato con la Regione, in particolare con il presidente Solinas.
Quello che mi è dispiaciuto in questi cinque anni è che da parte nostra c’erano le idee chiare sulle cose da fare: stadio, fiera, palazzetto, via Roma, lungomare, mercati, musei, edilizia residenziale pubblica. Purtroppo non abbiamo trovato altrettanta attenzione dall’altra parte per poter far sì che queste idee potessero trovare un atto di programmazione condiviso con la Regione. Oggi non esiste, abbiamo avuto finanziamenti spot come i 50 milioni per lo stadio e i 13 per il palazzetto dello sport, poi basta. Penso che una sessantina di milioni in cinque anni, per il capoluogo di regione, non siano il massimo. E noi le proposte le avevamo. Anche la questione ospedale è rimasta campata in aria. La programmazione sanitaria è competenza della Regione, ma dove fare l’ospedale o dove fare lo stadio è di competenza del Consiglio comunale. E io non accetto che qualcuno possa sostituirsi al soggetto istituzionale conclamato. Ho difeso questa prerogativa e la difenderò sempre.
Arriviamo alle recenti festività. Mengoni, alberi di natale e polemiche sulla sicurezza. Dall’opposizione non le hanno risparmiato attacchi.
Il livello del dibattito testimonia quello che dicevo prima, ovvero che dovremmo avere la capacità di discutere sui veri temi che riguardano la città. Io oggi non litigo con i consiglieri di minoranza perché c’è una visione diversa sulle periferie o sullo stadio, mi dispiace che il dibattito si concentri su un sacchetto, su una buca o sul capodanno. Mi sembra ridicolo. Negli ultimi due anni abbiamo portato in città 50-60mila persone, che credo sia quanto loro sono riusciti a fare in otto anni. Sinceramente non capisco chi si lamenta che ci fossero poche persone a vedere Mengoni, quando per anni hanno smazzato le risorse con vari complessini locali che dal punto di vista turistico non producono nulla. E da noi sono stati fatti due capodanni in estrama sicurezza. Abbiamo organizzato due grandi concerti con il top del momento nel panorama musicale italiano. A me sembra che ci sia qualcuno che rosica.
L’annuncio di Mengoni però è arrivato tardi, la pubblicizzazione poi è partita ancora dopo. A livello turistico non si sarà perso qualcosa per le tempistiche?
Solo da fuori Sardegna sono arrivate 2mila persone che in città non sarebbero arrivate se non per il concerto di Mengoni. E quelle sono persone che si sono fermate 2-3 giorni, hanno pagato le stanze d’albergo, acquistato servizi, pagato i pasti. Quindi il costo è stato ampiamente ripagato, entrambi gli anni. E lo rifarei domani. Poi certo che vorrei avere una piazza per ospitare tutti, ma per le attuali norme di sicurezza non possiamo garantire quello che si poteva fare anni fa. La scelta della Fiera era obbligata. Il rischio era di non fare il capodanno, ma abbiamo fatto un mezzo miracolo e siamo riusciti a organizzare una grande festa.
Per concludere, che augurio vuole fare alla città di Cagliari per questo 2024?
L’augurio che faccio alla città è che possa arrivare presto a competere con le città del centro-nord, visto che già è tra le prime del centro-sud. In alcune aree siamo ai primi posti, dobbiamo migliorare le altre e nel contempo garantire la vivibilità della città. A Cagliari si vive bene. Dal punto di vista sociale c’è una rete importante che cerca di dare una mano a tutti, anche grazie all’amministrazione. L’abbiamo garantito senza toccare le tariffe, che da anni sono le stesse, e nonostante questo manteniamo un altissimo livello di servizi. Siamo in grado di caricarci dei bisogni dei più fragili, anche di altri comuni. Dobbiamo proseguire su questa strada. Mi piacerebbe che Cagliari potesse offrire un’opportunità a tutti.
E invece alla Sardegna cosa augura?
So che non si realizzerà, ma mi piacerebbe che questo fosse il primo anno in cui si inverte la tendenza al calo demografico. Sarebbe un segnale di ritorno alla fiducia, alla possibilità di crescere e di fare bene, dando un’opportunità di lavoro nella propria terra.
Tradotto in un punto programmatico: parla di lotta allo spopolamento?
Fermi quel declino se hai una prospettiva di vita in Sardegna. I giovani vogliono andare fuori, magari ad esempio per studiare in una facoltà che c’è pure qui, ma vogliono andarsene. Il rischio è di ridurre a metà la popolazione della Sardegna tra qualche anno. Bisogna invertire la rotta.
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