“Era una calda giornata d’estate e ricordo fosse l’ultimo giorno per mandare la domanda, rigorosamente in cartaceo. Sono partito a ventuno anni dalla Sardegna per la prima volta nel 2011 alla volta della Finlandia, per l’Erasmus”.
Edoardo Piras è uno dei tanti giovani sardi che hanno lasciato l’isola. “Montai sullo Scarabeo e misi la domanda dentro una cassetta delle poste”.
Il viaggio fu epifania. Edoardo torna in Sardegna con le idee chiare, riparte finita la triennale a Milano dove passa quattro anni tra specializzazione e lavoro. Nel 2017 decide di trasferirsi a Bruxelles, la città dove vive oggi.
La lontananza non è un concetto statico: “Se mi avessero chiesto che forma ha la lontananza a ventuno anni, avrei dato una risposta molto probabilmente diversa da quella che ti darei ora. A quell’età la spensieratezza regna sovrana e la voglia di conoscere e scoprire non sono sicuramente limitate da alcune responsabilità che maturano col tempo. La lontananza è più nostalgia, ma non si sente perchè le emozioni che arrivano dalle nuove esperienze la sovrastano”.
A ventuno anni si danno molte cose per scontate, come chi ti aspetterà al rientro: “Scopri la fugacità delle cose, delle persone e del tempo. La lontananza è crescita. Ti porta a fare delle riflessioni importanti su chi sei, sulle scelte e su cosa realmente ti rende felice”.
Le sue coordinate le ha trovate: una famiglia, lo studio e un lavoro gratificante. Si è immerso nella realtà delle multinazionali con le analisi strategiche e ora lavora per una società americana che produce e vende jeans: “All’interno del Dipartimento marketing facciamo delle analisi statistiche per ottimizzare gli investimenti di marketing al fine di produrre vendite e far crescere il brand. Inoltre svolgiamo analisi di mercato per capire i comportamenti del consumatore al fine di di raccontare i valori e sviluppare i prodotti in linea con le loro aspettative”.
“Sono arrivato a Bruxelles richiamato da una multinazionale americana che nel 2017 assunse analisti da tutto il mondo. Andare in ufficio in centro significava non solo lavorare ma passare la giornata a ridere, scherzare, fare conversazioni professionali e personali profonde e costruire relazioni che ancora adesso durano e hanno contribuito a farmi diventare la persona che sono”.
La cultura aziendale, racconta, basata sul lavoro di gruppo, sulla condivisione, ambizione, passione, umiltà e ricerca della crescita personale e dell’eccellenza insegna tanto ed è purtroppo qualcosa che in Sardegna è dura da trovare. Il lavoro diventa lo stile di vita.
Un lavoro che, dice, lo ha scelto: “Sono overthinker, estremamente razionale, questo fa a pugni con le emozioni, non potevo che essere attratto dai numeri”. Questa è la sua croce e delizia: “Delizia perchè i numeri sono pane e cibo per la mia necessità di spiegazione e ricerca dei perchè. Croce perché col tempo ci si rende conto che c’è una parte molto grande della nostra esistenza che non risponde a regole analitiche. Questa parte della nostra vita si chiama emozioni”.
Poi è arrivata la pandemia. I rapporti e contatti sociali sono venuti a perdere lasciando spazio al remote working che “non permette interazioni umane e connessioni di valore che per me sono una parte fondamentale della vita lavorativa”.
Tuttavia, Bruxelles, capitale europea e casa delle istituzioni europee, offre tantissime opportunità di contatto con persone da tutto il mondo, con culture diverse e diversi modi di pensare: “Questo che mi tiene ancora attaccato qui, essere contaminato e contaminare ogni giorno con idee e riflessioni professionali e di vita”. Ogni giorno, come la sua vita: sveglia presto, colazione, lettura di news e podcast. Lavoro dalle 9 alle 17 e 18. In pausa pranzo o dopo il lavoro corre. Torna a casa, cena, legge, scrive e medita. Poi c’è il tempo libero, i viaggi nel mondo, il surf, le maratone, diventate una necessità come quella di respirare.
Poi c’è la Sardegna, che lui chiama gabbia d’oro. “Da adolescente, nato e cresciuto, non mi sono reso conto della fortuna di vivere in un posto così meraviglioso. Non me ne faccio una colpa. Il mare, i colori, i profumi, il cibo e lo stile di vita è un qualcosa che mi appartiene dalla nascita e come tale è lecito dare per scontato che sia così’”. Partire è realizzarlo. Conoscere il mondo significa apprezzare la Sardegna come un luogo fortunato. La Sardegna degli amici, della famiglia dei ricordi, l’approdo sicuro: “Mi ha sempre accolto come un figlio, curato, coccolato e rispedito fuori come nuovo”.
Quando l’adolescenza finisce, si scatenano le domande: la nostalgia è reale o è solo una ricerca – temporanea – di conforto in qualcuno/qualcosa scappando da noi stessi? “Io la risposta me la sono data e benché sicuramente l’amore della famiglia, degli amici, il calore delle persone, del sole, i colori e i profumi del mare siano elementi fondamentali per la qualità della vita. Ognuno ha la propria”.
Una nostalgia relativa perché lui torna spesso nell’isola.
Buio e luce. Pianti per amicizie e (poco) per lavoro, per amore (tanto). “La sofferenza l’ho vissuta come una bestia da scacciare a tutti i costi, ignorandola e scappando a gambe levate. Ma la vita ti mette sempre di fronte alle stesse situazioni finché non impari”.
Ama quel detto “o accetti la realtà o la realtà si incarica di farsi accettare”. Essendo una mente analitica si è arrovellato nell’overthinking, per cercare cause e nessi logici. Poi, lavorando su se stesso, ha capito che tutte le sofferenze nascono per essere attraversate, non capite. Il suo consiglio è “accettare e affrontare le sofferenze senza scappare”.
I momenti di crescita più significativi e le cose più belle della mia vita sono sempre venute alla fine del tunnel dopo esserci passato dentro da solo, “senza girarsi dalla parte opposta”.
La vita come sfida, tenacia, processo tortuoso. Fa la differenza la resilienza e l’onestà verso se stessi e gli altri.
Il suo è stato un biglietto di sola andata? Per ora sì. Ha opportunità di tornare molto spesso e chissà prima o poi potrebbe pensare al biglietto di ritorno. Il lavoro è altra cosa, lo dice senza mezzi termini. La Sardegna si trova in giro, anche nei tanti sardi con cui ci si vede. A Bruxelles ha conosciuto, tra tanti contatti, Federico Esu che ha un podcast che si chiama Itaca e che consiglia: “Ha creato una rete globale del capitale umano della Sardegna intervistando sardi in giro per il mondo o che sono restati in sardegna”.
Da lontano si avvicina l’Edoardo bambino con cui vorrebbe parlare. Cosa gli direbbe? “Rilassati e goditi il viaggio, la vita non è una meta ma un processo di gioie e sofferenze. Tutte queste esperienze vanno vissute nel momento senza pensare troppo al passato, accettando e migliorando, senza mai cercare compiacere il prossimo, mantenendo autenticità”.
Nicola Montisci
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