Una band alternative rock, con oltre un milione di ascolti in streaming che si chiama Awake For Days. No, non è l’ennesimo progetto americano sul quale gli italiani perdono la testa. Ma una solida realtà sarda della quale americani e messicani non possono fare a meno.
In dieci anni, da una saletta in quel di Nuoro, Lukas Moore, Nic P. Red, Andrew B. e Matt T. hanno fatto molta strada.
Hanno pubblicato due album (l’ultimo è “Multiverse”) e svariati singoli con cui sono andati a conquistare nuovi fan in tutto il mondo. Al loro fianco c’è un produttore di altissimo livello come Eddy Cavazza. Suonato in grossi festival assieme a grandi band rock e metal. Ed oggi sono uno dei progetti più caldi della scena.
Chi sono gli Awake For Days?
Siamo nati nel 2013 dalle ceneri di un altro progetto. Abbiamo cambiato il nome e pubblichiamo il primo disco, inquadrato dalla critica come modern metal. Ci ha spinti la voglia di portare la nostra musica fuori dalla saletta. La passione è cresciuta, così come gli appuntamenti e i concerti. Oggi sono dieci anni di Awake For Days. Ci spinge una grandissima passione per la musica. Perché alternative metal? Non è un genere mainstream in Italia. Ma in America si ascolta abitualmente anche nei supermercati. Il nostro mercato è sicuramente quello. La nostra fanbase però è presente anche in Europa.
Quanto è difficile fare metal in Sardegna e portarlo fuori dall’isola?
È difficilissimo.. (ridono, nda). Racconteremo la nostra esperienza nelle scuole con il progetto “School Tour”, come abbiamo portato avanti la band, dal cuore della Sardegna agli Stati Uniti. Non è stato semplice. È stato un processo lunghissimo. Il primo tour è arrivato nel 2019, quindi dopo diversi anni. Questa però è una band differente come prospettiva rispetto alle solite. Puntavamo dagli esordi ad un progetto professionale. Per questo ci siamo rivolti a Andy Cavazza. Una scelta non comune in Sardegna. L’ambizione è cresciuta, con una qualità sonora e di scrittura già internazionale. Se si sente il primo disco, non sembriamo arrivare da Nuoro ma da qualche parte degli Stati Uniti. Ecco perché abbiamo avuto successo e siamo poi andati a fare un tour in Inghilterra. Era già dimostrazione di un impegno “particolare”. In Sardegna c’è tantissima difficoltà nel muoversi. Ma anche difficoltà di natura mentale: molto spesso si iniziano progetti ma senza crederci, senza investire su di sé, senza puntare ad un prodotto di livello, senza mandare le proprie canzoni in giro per il mondo. Il nome, adesso racconto un aneddoto, è nato proprio perché la band ha speso “notti insonni” per fare il primo disco. Per riuscire ad uscire mediaticamente dalla Sardegna. È così che si arriva a fare 100 concerti negli Usa, a suonare in Messico ed Europa. Abbiamo dedicato molti anni della nostra vita per arrivare a questo risultato.
Come siete arrivati a convincere un produttore come Cavazza a puntare su di voi?
Non ci conosceva. Ci siamo presentati, ha investito su di noi riconoscendo una dedizione “senza eguali”, persino in Italia. È forse lo stereotipo del Sardi e testardi. Questo rapporto si è mutato in una forte amicizia. Ci ha seguito nei tour, crede nel progetto. Questo atteggiamento ha pagato, in particolare coi fan americani, che ad ogni concerto sono cresciuti.
Com’è il vostro rapporto con i fan?
Il rapporto è ottimo. Molti fan americani ci hanno detto di essersi riavvicinati alla musica rock e metal dopo averci visto live. Per noi è un complimento enorme. Sono molto più abituati a sentire rock o metal rispetto alla fanbase europea. L’orecchio è più attento. La gente ci riconosce molto. Stiamo iniziato a crescere anche in Sardegna e in Italia. Bello vedere persone che non seguono abitualmente il genere divertirsi con noi, farci domande. Con la nostra naturalezza e spontaneità riusciamo far breccia in tanti.
In Italia si fa un gran parlare dei Maneskin. La loro notorietà aiuta band come la vostra ad essere riconosciuti?
Pensiamo proprio di sì. Non è una brutta cosa. Molti artisti che fanno il nostro genere hanno recensito negativamente i Maneskin senza capire che una band italiana che diventa mainstream, che fa rock, fa tour in tutto il mondo e fa sempre sold out, aiuta un sacco anche le band italiane che cercano di uscire dai confini. Nel tour che abbiamo fatto quest’anno in America molti ci parlavano di loro. Come se ci conoscessimo. Il loro gigantesco successo sarà proficuo soprattutto per chi verrà dopo. Per tutti i ragazzini che imbracceranno uno strumento perché i Maneskin stanno avendo successo. Cosa che non sarebbe successa senza la loro esplosione. Aiuta tutta la scena.
Avete degli aneddoti sul tour negli Stati Uniti e Messico?
Li abbiamo vissuti in maniera molto positiva. Eravamo già stati in America, ma quando torni con un secondo tour, alzi il tiro e le persone se ne accorgono, e comprano il merchandising, è una cosa molto positiva. L’approccio dei fan americani ci ha allargato gli orizzonti. La gente ha letto i testi, li ha interpretati, li ha fatti propri. Persone che ti avvicinano e ti dicono che le tue canzoni le hanno aiutate ad uscire dalla depressione, sono cose bellissime e forti. Il Messico ha un pubblico differente, hanno reagito in una maniera devastante da subito. Senza neanche sapere chi fossimo, eravamo perfetti sconosciuti. Ma tanti si sono ascoltati i nostri brani su Spotify, stavano cantando i testi, ci hanno chiesto foto. Sono stati molto calorosi.
I vostri testi raccontano tematiche anche molto forti. Quanto sono riusciti ad entrare nel cuore dei fan?
Abbiamo ricevuto sempre delle ottime recensioni sui testi. Ci arrivano messaggi privati in cui ci chiedono come mai dei temi. Molti sono temi motivazionali. Affrontiamo la lotta alla depressione e diamo una mano a chi si sente in un baratro. Una canzone, “Break your Chains”, è dedicata a mio cugino che purtroppo non c’è più. È stata una delle motivazioni perché è nata la canzone. Vedere che delle persone percepiscono un testo, lo fanno loro, e le aiuta, è importante. Quando parliamo coi fan, spieghiamo i motivi.
Nel vostro viaggio americano, c’è qualche vip che avete conosciuto?
Un giorno epico è accaduto quest’anno. Suonavamo in un locale sul Sunset Boulevard a Hollywood. Ci sono quei 4/5 locali storici. Andiamo in uno di questi a berci una birra e lì troviamo Tom Morello dei Rage Against The Machine. Gli chiediamo una foto. Prende il nostro telefono e inizia a farsi i selfie con noi. Si è dimostrata una persona deliziosa. Abbiamo parlato tantissimo, totalmente alla mano. Sapendo che venivamo dall’Italia e dalla Sardegna, ci ha tempestato di domande. È stato molto scherzoso e divertente. E poi Cristian Machado, che ha fatto il featuring di un nostro brano. La collaborazione è nata casualmente. Un amico in comune, visto che eravamo in America due giorni, ha ascoltato il pezzo e ci disse che ci sarebbe stata bene una voce come la sua. Ma figurati se pensassimo che una star così potesse avere il tempo di fare un feat con noi. E invece è accaduto veramente.
E se poteste avere l’occasione di scegliere una collaborazione, chi vorreste?
Ci piacerebbe tantissimo collaborare con Mike Shinoda dei Linkin Park. Sarebbe un grandissimo onore. Ma anche Corey Taylor degli Slipknot, visto che l’abbiamo incrociato in Messico. O anche Victoria dei Maneskin, perché no?
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