“Per fare questo lavoro ci vogliono tanta pazienza e versatilità” spiega Jean Claudio Vinci. Il suo studio è pieno di tavole, concluse o anche solo abbozzate in digitale. Il lavoro di fumettista e illustratore lo assorbe in una maniera che definisce “fantastica e impegnativa”. Glielo si legge dagli occhi, la passione che lo accende.

È nato a Sanluri quarantatré anni fa. Prime esperienze con l’associazione Chine Vaganti, diversi progetti riusciti (tra cui “Radio Punx”). Poi il salto, enorme ma di grande impatto, nell’editoria per ragazzi e nel fumetto.

La qualità è alta. Tanto da portare una collaborazione anche con la Disney Pixar. Nascono due miniserie a fumetti su Gli Incredibili. Un sardo che firma un prodotto americano. Roba da stropicciarsi gli occhi.

(Foto credit: Marco Tanca)

Quando ti avvicini al disegno e all’illustrazione? Chi erano i tuoi modelli?

Mi sono avvicinato al disegno fin da bambino, complici gli anime che davano in tv e i fumetti che acquistavo in edicola. Ho sempre passato il tempo a disegnare, anche alle scuole superiori, quando alle mie letture Marvel ho aggiunto i manga… e pian piano fantasticavo sul fatto che questo potesse diventare un lavoro. Tra i modelli da cui ho preso spunto, ci sono autori come Shingo Araki, numerosi disegnatori americani e Andrea Accardi.

Hai iniziato con l’associazione Chine Vaganti. Cosa è stata e che cos’è per te questa esperienza?

Sono entrato in Chine a circa 20 anni, dopo aver frequentato una scuola di fumetto a Cagliari. In Chine ho trovato un confronto quotidiano con chi aveva la mia stessa passione nel raccontare storie per immagini, l’esperienza di chi già faceva i primi passi nel professionismo, consigli di letture e autori a me sconosciuti, insegnamenti. È stato un percorso per me necessario: senza la vita associativa in Chine, non sarei mai diventato un professionista. Ora continuo a tenere viva l’associazione e seguo i soci giovani che cominciano a fare il percorso che ho fatto io 20 anni fa.

 Quando sei passato alle grandi case editrici (Einaudi, Mondadori, ecc) hai pagato il salto o hai trovato subito la chiave per rispondere al meglio alle esigenze che ti venivano richieste?

Sicuramente l’esperienza con Chine si è rivelata un ottimo allenamento. Aver avuto a che fare con autoproduzioni a fumetti, gestione dei tempi e lavoro di editing, mi ha portato ai miei primi progetti editoriali con una sicurezza in più. Mi sono adattato e ho imparato col tempo a velocizzare il mio lavoro e a mettere in pratica quella sensibilità narrativa che avevo allenato in anni di letture e di esercizi nel disegno.

Sei arrivato poi a lavorare per la Disney Pixar: com’è avvenuto il contatto, cosa hai fatto e come ti sei trovato con loro?

Per la Disney Pixar ho realizzato 2 miniserie a fumetti su Gli Incredibili, la famosa famiglia di supereroi. Sono state pubblicate negli Stati Uniti dall’editore Dark Horse Comics e questa possibilità è arriva a me con sorpresa grazie alla collaborazione con Arancia Studio, agenzia con cui lavoro da tempo per il mercato francese e americano. Le 2 nuove storie proseguono gli avvenimenti del secondo film cinematografico. Inutile dire che disegnare quelle tavole per me è stato un onore e un grandissimo divertimento! Nonostante quel marchio importante sopra il titolo, devo dire che è stato uno dei lavori più sereni che io abbia mai fatto, seppur con tempi di produzione serrati… fa parte del gioco.

Cosa consiglieresti a chi si avvicina oggi al mondo del fumetto e dell’illustrazione?

Sicuramente tanta pazienza e tanta versatilità. Consiglierei di sperimentare il più possibile e di sapersi adattare a ciò che ciascun progetto richiede. Allenare la propria professionalità ripaga nel tempo e gli editori gradiscono. Altro consiglio: non disegnate per voi, non raccontate a voi stessi… l’obiettivo sono i lettori, tutto deve risultare comprensibile, chiaro e gradevole agli occhi del lettore finale. Narrare bene è il focus principale.

Di recente c’è stato un gran parlare di fumetti compiuti con l’intelligenza artificiale. Pensi che il futuro non vedrà più immagini “fatte a mano” ma sarà tutto meccanizzato?

Consiglio a riguardo di dare un’occhiata all’EGAIR, movimento il cui scopo è quello di regolarizzare l’uso delle AI a protezione delle proprietà intellettuali degli artisti. Penso che l’arte “fatta a mano” (su carta o in digitale) continuerà di certo a esistere, dovendo coesistere con utili strumenti nuovi. Reputo l’AI qualcosa di interessante da studiare con la dovuta attenzione.  Ma sono convinto che prima di tutto ci sia bisogno di una forte sensibilizzazione all’arte (e al buon gusto). Saper distinguere ciò che è frutto del lavoro di un artista reale, da ciò che è il risultato di una elaborazione di una AI generativa (che funziona con semplici istruzioni testuali e elabora il risultato mischiando tra loro immagini pescate dal web, spesso senza un reale consenso), sarebbe già un ottimo passo.

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