La storia della Sardegna è influenzata da secoli di invasioni di diverse civiltà che, navigando il Mediterraneo, trovarono nell’isola un punto d’approdo strategico. Ecco perché nei vari territori sono rimaste tracce di quei passaggi. Tracce per certi versi indelebili. Come quella fenicio-punica.
Le testimonianze parlano di due momenti cruciali. Il primo avviene tra il IX e il VIII a.C quando i mercanti fenici arrivano nel sud della Sardegna, costruiscono una rete commerciale di scambio e iniziano a integrarsi nella cultura locale, apportando però migliorie in termini di usi e di conoscenze. I primi insediamenti sorsero a Karalis, Olbia, Nora, Sulki, Tharros e Neapolis.
Il secondo avviene tra il VII e il VI a.C quando Cartagine iniziò a rivendicare una certa autonomia politico-militare che la portò a sottomettere le colonie presenti in Occidente. Prima in Sicilia, successivamente in Sardegna. Ma la “presa” dell’isola non fu facile.
Il generale Malco si trovò a fare i conti con l’alleanza interna tra fenici e le tribù sarde, che riuscirono a respingere il tentativo del generale di prendere il controllo dei loro territori. Neppure l’arrivo dei generali Asdrubale e Amilcare riuscì a risolvere la battaglia in breve tempo: solo col trattato di Roma firmato nel 509 a.C, la Sardegna poté passare sotto la dominazione punica.
Nonostante ciò, per quasi un secolo, le battaglie tra i due popoli proseguirono, con gli eserciti inviati da Cartagine costretti a lunghe campagne militari per aver la meglio. Lo snodo cruciale fu il controllo dei principali porti dell’isola, che colpì i contatti commerciali della civiltà nuragica e portò alla sua decadenza.
L’influenza punica divenne significativa. Tanti sono stati i ritrovamenti, quanto i resti archeologici di diverse aree dell’isola. Come i gioielli in oro e in argento, prodotti con l’impiego di pietre e materiali preziosi (diaspro verde e corallo).
In tutta l’Isola poi sono stati ritrovati prodotti dell’artigianato punico come amuleti e collane in bronzo o terracotta. Ricca la produzione di statuette raffiguranti diverse divinità, così come l’utilizzo della ceramica per la produzione di urne, vasi per profumi e maschere utili ad allontanare gli spiriti maligni.
Infine di grande rilevanza i Tophet, santuari all’aperto che venivano frequentati come luoghi di culto, sul quale aleggia la leggenda del sacrificio dei bambini. Successivamente gli archeologi trovarono urne d’argilla e centinaia di stele votive che offrono una vasta gamma di stili e iconografie.
Andiamo a scoprire cinque luoghi imprescindibili per conoscere la storia dell’influenza fenicio-punica in Sardegna.
Monte Sirai
Uno spicchio di territorio aperto sul Mediterraneo. È qui, sul Monte Sirai nei pressi di Carbonia, che i Fenici fondarono una città nel 750 a.C. Venne in seguito occupata dai Cartaginesi che la fortificarono e ricostruirono del tutto. Nessun’altra colonia fenicio-punica è arrivata fino a noi con testimonianze così integre.
Della colonia fenicio-punica si possono ammirare i resti dell’acropoli attorno al quale si distinguono le antiche abitazioni, le piazze, la cintura muraria, il tempo, il tophet e la necropoli. Nelle urne, a forma di pentola coperta, riposano le ceneri di piccoli defunti sepolti con animaletti, amuleti, vasetti e gioielli. Parte del Tophet è stata ricostruito nel Museo Villa Sulcis, sempre a Carbonia, dove un’installazione multimediale consente muoversi nell’antica città.
Sulki
A Sant’Antioco è possibile approdare ad una delle città fenicie più antiche. Sulki è stata fondata nel 770 a.C., divenendo poi Sulci. Era un porto di passaggio piuttosto importante, tanto da garantire scambi commerciali con il medio-Oriente, il Nord Africa e la Spagna. Il tophet e l’imponente necropoli sono i due punti di passaggio più importanti della visita: il primo, sorto nella periferia nord dell’abitato, permetteva la commemorazione dei bambini; nel secondo, lungo sei ettari, si diffuse l’inumazione. Si stima che in questa città ci vivessero almeno 10 mila persone.
Una parte del Museo Archeologico Ferruccio Barreca a Sant’Antioco è dedicata ai reperti scoperti nel tempo: utensili, anfore, gioielli e maschere.
Area Archeologica di Nora
È stata la prima città fenicia in Sardegna nel VIII secolo a.C.. Quando nel 238 a.C. fu conquistata dai Romani, visse il suo massimo splendore ma è anche vero che quanto realizzato in precedenza venne quasi del tutto coperto da edifici romani. Solo nel 1889, una mareggiata permise di scoprire resti del tempio di Tanit, dea cartaginese, e la stele di Nora, custodita oggi nel museo archeologico di Cagliari. Su quest’ultima compare per la prima volta il termine “Shrdn”, ovvero Sardegna.
All’ingresso dell’area archeologica si trovano i ruderi delle termine. Sono presenti anche la piazza del Foro, il tempio, la necropoli, l’acquedotto, il santuario di Esculapio e l’anfiteatro, che – rivestito di marmo – contava mille posti a sedere. Il tophet invece sorge vicino alla chiesetta di Sant’Efisio.
Area Archeologica di Tharros
Oltre due millenni di storia in cui è presente la testimonianza degli insediamenti. Sita nella penisola del Sinis, è il luogo dove si scorge un anfiteatro naturale affacciato sul mare.
Le eredità fenicie sono due necropoli e il tophet, dove erano deposte le urne contenenti i resti di neonati e animali sacrificati. Con l’avvento cartaginese, all’incinerazione fu affiancata l’inumazione. Furono riusate le sepolture a fossa fenicie e aggiunte tombe ‘a camera’, segnalate da steli con immagini delle divinità Baal Hammon e Tanit. Dai sepolcri sono stati rinvenduti diversi manufatti come ceramiche, gioielli, amuleti, scarabei.
L’arrivo dei Fenici e la fondazione della città coincidono con un momento di straordinaria attività coloniale. Ma è con i cartaginesi che viene realizzata l’imponente cinta fortificata che chiude la città da possibili attacchi. Di questo periodo sono anche il tempio monumentale o “tempio delle semicolonne doriche” che doveva essere costituito da una grande piattaforma gradonata al culmine della quale doveva ergersi un tempietto o un altare. E le caratteristiche tombe a camera visibili sul Capo S. Marco e tra le case del villaggio di S. Giovanni. Queste sepolture erano costituite da un vano d’accesso generalmente provvisto di una gradinata e da una camera sepolcrale molto semplice.
Tempio di Antas
Non lontano da Fluminimaggiore, in una vallata verde tra le montagne, si trova il tempio di Antas. Inizialmente costruito nel periodo punico fu ristrutturato in epoca successiva dai i romani. La zona era una grande attrazione per gli abbondanti giacimenti di piombo e ferro.
Il tempio fu eretto inizialmente dai punici per simboleggiare l’alleanza tra i cartaginesi e i sardi. Il monumento attuale è quello romano, scoperto dal generale La Marmora nel 1836 e restaurato nel 1967. Costruito in varie fasi con pietra calcarea locale, restano in piedi una gradinata d’accesso e un podio ornato da eleganti colonne perfettamente allineate.
Ai tempi dei punici, lo spazio era suddiviso in due ambienti, uno grande e uno più piccolo al lato nord. L’altare si trovava in una stanza piccola. Durante gli scavi sono state rinvenute molte pietre votive con iscrizioni in punico dedicate al dio Sid.
Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna, Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio.